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La ragnatela

Che ipocrita la politica di oggi. Si voleva formare un governo di emergenza. E allora perchè non si è formato un governo di emergenza composto dai partiti, come avvenne subito dopo la Liberazione e come, in qualche misura, avenne anche negli anni settanta, quando si formò una maggioranza di programma con un esecutivo politico dei ministri democristiani? Oggi si è inventato il governo tecnico. Che non può esistere, perchè ogni governo si basa sul consenso di una maggioranza parlamentare, e dunque politica. La vera motivazione della scelta compiuta è che nessuno dei due grandi partiti del bipolarismo italiano vuole confondersi eccessivamente con l’altro. E forse il terzo polo non vuole confondersi con nessuno dei due. E così, il cosidetto governo tecnico è risultato il paravento per evitare il rischio della contaminazione. Questo determina però una serie di evidenti paradossi. Il primo è quello che è emerso in queste ore ed è relativo ai vertici di maggioranza. Verranno convocati invitando tutti insieme, un polo alla volta, un partito alla volta? O forse solo i gruppi parlamentari, tutti insieme, un polo alla volta, un gruppo alla volta? Non si rischia il ridicolo? E a proposito dei vice ministri e dei sottosegretari, si parla di profili tecnici, ma nel contempo si certifica che saranno 12-15 del Pd, 12-15 del Pdl e 5 del Terzo polo. Quindi sarebbero tecnici segnalati dai partiti: tecnici politici, dunque. Una nuova, vecchia categoria. Che cosa cambierebbe? E che dire dei voti parlamentari? Dovranno essere convergenti se no cade il governo. Ma potranno, Pd e Pdl, dire le stesse cose? Dovranno forse dire cose opposte, per salvare il bipolarismo, ma poi votare nello stesso modo. E’ possibile, e soprattutto è credibile? Questa paura di contaminazione è in realtà animata dall’esigenza di tutelarsi l’un l’altro come soggetti alternativi, salvando così un bipolarismo che è invece la causa della crisi italiana. Perchè non ha mai permesso a chi ha vinto le elezioni di governare per risolvere i problemi. Solo Casini azzarda l’idea di puntare sulla convergenza, e non sul bipolarismo, anche dopo le elezioni. E così si vanno definendo le vere alternative politiche che il governo Monti mette alla luce. Quella del ritorno al conflitto e quella della perdurante conciliazione. Di Pietro è l’alfiere più intransigente, assieme alla Lega, che però non credo sia disponibie a un semplice ritorno al passato, del ripristino della scenario pre Monti, assieme a una parte del Pdl, ben interpretata dai giornali di Berlusconi, e anche a una parte del Pd, che fa capo alla sua sinistra (Fassina ne è certo l’esponente più esposto). Quella della permanenza della conciliazione è bene interpretata da Casini (Fini e Rutelli) e passa anche all’interno del Pdl (Formigoni, Lupi, Cicchitto) e del Pd (Veltroni, Morando, Ichino). Chi vincerà questo braccio di ferro? Equivale alla domanda: quanto tempo resisterà Monti? E soprattutto alla domanda più di fondo: quale sistema politico si vuole definire per l’Italia? Si sta tessendo una tela (o ragnatela) che va dunque molto al dà del governo Monti. E che divide tutto quello che è stato unito in questi diciasette anni.