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Socialismo e liberalsocialismo

6 Febbraio 2012 1.445 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il progetto di una difficile rifondazione socialista sbatte la testa contro due ipotesi diverse. E sono quella, da un lato, della costruzione di un soggetto socialista tout court e, dall’altro, quello della edificazione di una forza liberlsocialista. Non sono evidentemente la stessa cosa. Implicano due analisi differenti della crisi economica e finanziaria, due ricette diverse sul piano programmatico, due valutazioni diverse di quel è stato il Psi di Craxi e Martelli e due diverse individuazioni dei soggetti che potrebbero contribuire a realizzarle. La prima presuppone un’analisi della crisi finanziaria non solo come crisi, ma anche come tramonto, del capitalismo. Dunque impone la necessità di rimettere in moto una visione delle Stato nella società tipica del passato. Altro che diminuzione della spesa pubblica, dunque. Lo Stato deve intervenire in modo sempre più massiccio, non solo per regolamentare il mercato finanziario, ma anche per garantire, tutelare, vigilare, sorreggere i cittadini, senza mai mettere in discussione le conquiste del passato, ma anzi rinvigorendole alla luce degli attacchi del revisionismo e del riformismo spicciolo. Dunque è necessario contestare e contrastare non solo il liberismo e il neo liberismo, ma anche una visione liberale della società, in modo sempre più incisivo e determinato, in nome del trionfo del pubblico. Questo mette naturalmente in discussione tutte le analisi e le intuizioni del socialismo italiano negli anni ottanta e in particolare quella del Lib -Lab, cioè del socialismo liberale, che si giudica ormai morto e sepolto. Anzi, il rapporto col passato del Psi è con soluzione di continuità. Sul piano delle relazioni politiche questa visione implica un rapporto di collaborazione con Sel e con quanti nel Pd (da Folena, a Fassina, a Epifani e alla Cgil) sono collocati su questo versante. La politica da rilanciare sarebbe dunque una sorta di “Union de la gauche” in salsa francese dove al posto di Holland c’è Vendola, non certo il blairismo o la politica di unità nazionale alla tedesca. Il governo Monti è un incidente di percorso, il berlusconismo la malattia dell’Italia degli ultimi vent’anni, il bipolarismo il modello da rilanciare sul piano politico ed elettorale. L’ipotesi liberalsocialista implica invece un giudizio sulla crisi meno catastrofista, la consapevolezza che da questa si uscirà (certo anche introducendo regole in un mercato finanziario impazzito e probabilmente anche con un’Europa un po’ più povera e un’Asia più ricca), con misure razionali ed eque e che il debito pubblico italiano non è una palla al piede ereditata dalla cosiddetta Prima repubblica, ma un vizio della seconda, dove il Pil è mediamente aumentato di meno dello 0,6% negli ultimi dieci anni e adesso è finito sotto lo zero. Questa tendenza recupera il meglio delle intuizioni socialiste italiane degli anni ottanta, ad esempio quella del rapporto tra meriti e bisogni, l’idea che non solo lo Stato, ma la società debba essere solidale, dunque è sensibile alla riduzione della spesa pubblica, all’allentamento della pressione fiscale, al rilancio degli investimenti privati e anche a una riforma del mercato del lavoro che (come sostenevano ieri D’Antona e Biagi e oggi Ichino) porti a una maggiore tutela del lavoratore, più che del singolo lavoro. Questa posizione porta a un rilancio del riformismo solidale, a una nuova battaglia per i diritti civili che diventano sempre più diritti di conoscenza e a un rapporto con i radicali e i laici (con la Uil e Cisl, più che con la Cigl) e anche con quelle parti del Pd che si mantengono su una posizione responsabile e innovativa. Ed è conciliabile con la ricerca di unità dei socialisti, anche di coloro che oggi stanno col centrodestra. Il governo Monti (e ancor più l’asse Napolitano-Monti) è un’opportunità da appoggiare e incoraggiare e non solo nella transizione, ma anche nei prossimi anni. La riforma elettorale deve essere adottata senza premio di maggioranza perchè il bipolarismo all’italiana è una malattia, e non certo una ricetta per curare i nostri mali. I socialisti che la pensano in questo secondo modo (e credo che siano la stragrande maggioranza di quelli che stanno nel piccolo Psi) fanno molta fatica a trovare un punto d’incontro coi socialisti che la pensano nell’altro modo. Questa ambiguità va risolta. Perchè non si può andare, tutti insieme, su due strade diverse.

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