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Oggi in Francia, domani in Italia?

7 Maggio 2012 2.108 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Che i socialisti siano vivi in Europa lo sapevamo. Che in Italia siano tuttora sommersi anche. Se usassimo un semplice sillogismo potremmo concludere che, siccome altrove la sinistra vince se è socialista, basterebbe che anche in Italia lo fosse e il gioco sarebbe fatto. Ma la logica spesso sfugge alla politica. Sulle ragioni per le quali la sinistra italiana non è mai stata a maggioranza socialista si sono spesi  fiumi d’inchiostro. Le ragioni per le quali non lo è diventata nemmeno dopo la fine del comunismo e del Pci sono ancora oggetto di polemica politica. La principale a me pare proprio quella di non poter riconoscere i meriti storici del Psi da parte degli ex comunisti, di non cedere cioè alle ragioni della sinistra riformista che non sentiva il bisogno di cambiare il nome dopo la caduta del Muro perché non avvertiva come suoi quei calcinacci. Questa posizione è stata poi facilitata e corroborata dall’esplosione di Tangentopoli e dalla fine del Psi. Resta il fatto che la questione socialista nella sinistra italiana non ha mai smesso di riproporsi. Lo si è registrato al congresso del Pds, che al socialismo europeo aveva aderito già nel  1992 dopo il lasciapassare di Craxi e De Michelis, che si svolse a Firenze nel 1998, quando nel simbolo è stata posta la rosa del socialismo europeo e sancita la nascita di una formazione del socialismo europeo in Italia. Poi si è riaffacciata dopo che i diesse, nel congresso del 2007 che sanciva la fine del partito per aprire la strada alla nascita del Partito democratico, si divisero in due proprio sulla questione dell’appartenenza alla famiglia del socialismo europeo. E infine è stata riproposta con la Costituente socialista dello stesso anno che riuniva quasi tutte le sparse membra del socialismo italiano e quella parte dei diesse che con Angius e altri intendeva costruire anche in Italia una forza socialista. Si tratta di tre aspirazioni ugualmente fallite. La prima si è scontrata con la seconda e il nuovo partito è uscito dal Pse del quale è solo un interlocutore e un alleato, la terza è naufragata negli scogli del mancato apparentamento e della mancata leadership. Credo che la Francia, con la vittoria di Hollande, riproponga anche per l’Italia, e per l’ennesima volta, lo stesso problema. E non mi spaventa se la questione socialista non dovesse configurarsi come a me personalmente, e credo non solo a me, interesserebbe, e cioè come q uestione liberalsocialista o del socialismo liberale. Formica parlò una volta del socialismo “largo” e quell’idea che in Italia il socialismo democratico potesse rinascere non soltanto sulle macerie del vecchio Psi mi pareva azzeccata. E che dovesse aggregare anche (magari addirittura a maggioranza) anche forze che si ponevano su posizioni più intransigenti di quelle alle quali arrivammo noi col nostro revisionismo, non mi procurava alcuna paura. In un partito socialista possono convivere anime diverse. Sol che tali componenti lo vogliano però. Perché a me pare questo il punto: nessuno lo vuole. Nel Pd Bersani fa il tifo per Hollande ma non è nel Pse, mentre gli ex Dc-Margherita lo contestano non perché non è nel Pse, ma perché ha fatto il tifo per Hollande, Vendola sostiene di essere “comunista e cristiano”, ma non socialista, anche se apprezza, e ci mancherebbe, così come Bertinotti, il socialismo europeo del quale non è parte, mentre gli ex di Sinistra democratica, che dai diesse se ne sono andati, perché il Pd non faceva parte del Pse, sono poi  finiti con Vendola e non col Psi. Lasciamo perdere Di Pietro e anche i Comunisti italiani e Rifondazione, mentre i radicali sono storicamente col gruppo liberaldemocratico e il Pdl nel gruppo popolare assieme a Casini. Così il socialismo democratico è in Italia come l’araba fenice. E non è vero che questo è dovuto al fatto che viviamo in un sistema politico post identitario, giacché esistono  in Italia tutte le identità europee, tranne una: la nostra. Solo noi, piccolo partito extraparlamentare chiamato Psi, assolviamo a questa funzione. E spesso ci sentiamo dire, alla stregua dell’efficace frase riportata spesso da  Nenni, e cioè “Com’era bella la repubblica sotto l’impero”,  “Com’è bello il socialismo democratico… negli altri paesi”. Peccato che non si chiedano perché solo in Italia non debba esserlo. Può essere perfino che diano la colpa a noi… E qui si tornerebbe da capo. E cioè al fatto che coloro che provengono da altre storie non possano accordarci alcuna ragione. Son passati vent’anni e più, quanti ne dobbiamo attendere ancora perché l’Italia diventi davvero, caro D’Alema, un Paese normale?

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