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Da Forza Reggiana del 16 settembre (Onorevoli commenti)

Cuneo: la prima volta

Ho sfogliato i poderosi volumi di “Una storia Reggiana”, il manuale granata che ogni sportivo dovrebbe tenere a casa sua, e non ho trovato traccia di Cuneo. Quello fiscale lasciamolo alla sensibilità del varesino Monti. Parlo della squadra della cittadina piemontese oggi ospite del Città del tricolore. Si tratta dunque di una prima assoluta. Mai la Reggiana ha incontrato i cuneesi nella sua lunga storia, che parte nel lontanissimo 1919 e attraversa la B, la C, la Quarta serie e naturalmente anche, sia pur per poco, la seria A. Ce la siamo visti con Gorizia, con Suzzara e Guastalla, con Codogno, Russi, Molinella, Forlimpopoli, Sesto San Giovanni, Gallarate, Sesto Calende e Sant’Angelo Lodigiano, con Pellizzari e Caravaggio, con Vobarno e Adria, perfino con Cera, Gardone, Sottomarina e Manerbio, ma con Cuneo mai. Onore dunque a questa prima assoluta, che non conterà sul pubblico di quelle della Scala di Milano, ma che merita la nostra curiosità. Anche perché Cuneo é cittadina molto importante per altri sport. Pensiamo alla pallavolo dove i piemontesi primeggiano ormai da molto tempo riempiendo a più non posso il loro palasport, assai più capiente del nostro. Ho letto che per loro questa serie è come la A. Non sanno a cosa vanno incontro, poveretti.

A Carpi fra transenne, vigili e muri

Siamo partiti, Romano ed io, molto presto, dopo aver pranzato al Buontempone, dal poderoso e gioviale Mario. E una volta arrivati a Carpi, nei pressi dello stadio (pochi davvero i segnali che indicavano il catino carpigiano), un gruppo di vigili ci ha bloccato, chiedendoci se eravamo reggiani o locali. Non potendo negare la nostra identità, ma possedendo noi due biglietti di tribuna, ci hanno ugualmente indirizzato verso il parcheggio dei tifosi granata. Quel parcheggio era però collocato sul fronte opposto  alla tribuna, cioè sul lato dei distinti. Una volta parcheggiata la macchina, chiediamo dove potevano indirizzarci per tentare di raggiungere la tribuna. Veniamo ancora bloccati e la richiesta è ancora secca: “Siete reggiani o locali?”. Non possiamo non confessare ancora la nostra origine e ci fanno camminare sul lato sinistro dello stadio transennato da più posti di blocco. Ancora cento metri poi una nuova domanda da parte di un nuovo addetto: “Dove andate?”. Immediata, dura, quasi come la richiesta d’un parola d’ordine durante un combattimento. Per la terza volta riveliamo la nostra carta d’identità. Ci lasciano passare a fatica, poi un quarto blocco e ancora la stessa domanda. Mi viene spontaneo ribattere: “Non siamo né carpigiani né reggiani (col tono di chi si sta rompendo i coglioni), veniamo da Nonantola a vedere la partita”. Perplessità. Un tizio si liscia i baffi. “Da Nonantola? E dove li mettiamo?”. Non era prevista un gradinata per i neutrali? No. Ci facciamo largo sbuffando e ridendo, poi seguiamo un gruppo di locali intenti a esplorare un passaggio che conduce alla tribuna  e ci troviamo davanti a un cancello con un solo campanello, lo suoniamo e chiediamo dove cavolo possiamo andare per arrivare alla tribuna dello stadio. Il tipo ci borbotta stanche e sonnecchianti parole di compatimento e ci troviamo così davanti a un campetto di calcio chiuso che dobbiamo costeggiare per arrivare di nuovo alla strada maestra e da lì finalmente di fianco alla tribuna centrale. Veniamo naturalmente ribloccati per la quinta volta e avviliti, sfiniti, affranti, quasi ci viene voglia di scappare via e di ritornare e casa. Ma come? Non possiamo certo rifare all’incontrario la strada di prima per rincontrare quei posti di blocco, compreso il tizio coi baffi interrogativi, che non ci capirebbe più nulla. Ci arrendiamo e riveliamo ancora la nostra città d’origine, ci fanno finalmente entrare, non prima di averci controllato anche le tasche e col metal detector anche i fianchi. Siamo dentro finalmente, seduti su un seggiolino rigido di una tribuna in ferro con un caldo soffocante, il sole che ci batte sulle spalle e senz’acqua. Temo per la vita di Romano. Non se ne può più e così la partita di calcio assume anche un valore catartico. Il primo tempo è una noia infernale, mentre un sudore malefico ti trapassa la camicia, il secondo due sberle che fanno male. Alla fine scegliamo il lato opposto per l’agognato ritorno e in due minuti siamo alla macchina. Alla fine penso che sia giusto e anche sano scegliere la tivù.

Senza distinti

Li ho riaperti io, mentre in tanti si erano sperticati in una sorta di terribili previsioni, del tipo: “Mai più riapriranno”, o addirittura, i più apocalittici, “Crolleranno sui cinema e sarebbe una strage”. Li ho aperti anche grazie alla Development che gestisce i Petali e che ha pagato di tasca sua i lavori di messa a norma. All’ultimo momento la commissione di vigilanza pretese anche l’oscuramento della gradinata degli ospiti per evitare che locali e ospiti si potessero addirittura vedere. E, incredibile a dirsi, si pretendeva anche l’oscuramento di quella dei locali (visto il noto e pericoloso  antagonismo tra gli spettatori della curva e quelli dei distinti). Oggi ancora non è stata completata la videosorveglianza, così come la commissione aveva perentoriamente stabilito. Tutto a posto nelle due curve, ma non ancora nei distinti. Dunque anche oggi quel settore rimarrà chiuso e, questa la novità, gli abbonati dei distinti, verranno fatti accomodare non nella laterale, ma nella tribuna centrale. Solo coloro che compreranno i biglietti dei distinti saranno in tribuna laterale, cioè quasi nessuno. Impennata nella campagna abbonamenti che chiude a 1.200 circa, da 865 che erano alla prima giornata, ma nel totale sono conteggiati anche i circa trecento omaggi. Il che mi ricorda quel che mi diceva ridendo un mio vecchio amico: “Sono pieno di soldi… del Monopoli”.