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Il bimbo nel tombino

Mi ricorda quel giugno del 1981, quando Alfredino finì nel pozzo. Per fortuna l’esito è stato diverso. Resta l’assurdo rischio, che non si deve ripetere. Se ci sono responsabilità emergano con chiarezza. Non basta affidarsi al caso, all’incidente fortuito, all’imprevedibile distrazione. Che un bimbo di un anno rischi la vita in città, nella città degli asili più belli del mondo, nella città di Reggio Children da esportare con orgoglio, pare perfino paradossale e beffardo. Vanno bene le vele di Calatrava e perfino i pur discutibili funghi di Rota. Ma sarebbe doveroso occuparsi di più, e ho sollecitato in tal senso la giunta, delle piccole cose, delle buche nelle strade del centro, dei palazzi scrostati e disabitati, dei mezzi che dovrebbero pulire le strade e lasciano segni neri anche sui selciati appena rifatti, dei tombini e delle griglie rotte, appunto. Lo so che è difficile seguire tutto, ma personalmente preferisco un’amministrazione dai cento, mille occhi, che enti che si specchiano autocompiacendosi. Bisogna conoscere la città, girare la città, annusare la città, amare la città, sentirla addosso come un vestito che ti calza a pennello. E che avverti completamente tuo. Questo vale per gli amministratori, vale per i dirigenti, vale per il Comune, vale per la Provincia, vale per le circoscrizioni se ancora esistono. Vale, deve valere, anche per i cittadini che la abitano. E che non possono non contattare nessuno se esiste un pericolo. E vivere distaccati e indifferenti, come se la comunità fosse un oggetto estraneo, e non un insieme di persone che ti accompagnano quotidianamente. Io non voglio che accada mai più. Mi sento in colpa anch’io, e ringrazio i rifiuti reggiani che hanno attutito il colpo e salvato il bimbo. A volte anche la raccolta differenziata può essere pericolosa.