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Dopo le elezioni

Sono state elezioni amministrative e il solito errore dei commentatori del giorno dopo è scambiarle per elezioni politiche. Eppure sono ormai tanti i precedenti che dimostrano che tra i due dati vi è poco di comune. Basti pensare che oggi tutti i sondaggi danno politicamente vincente il centrodestra e che le elezioni comunali e provinciali hanno visto lo strapotere della sinistra. Si potrebbe pensare, non a torto, alla labilità dei sondaggi. Eppure sono ormai troppi i segnali che vanno in direzione contraria. La vittoria arancione di Pisapia a Milano era più di un segnale politico. Eppure il popolo arancione si è voltato da un’altra parte poco più di un anno dopo. Diciamo allora, e questo è il primo punto, che l’astensione l’ha fatta da padrona. E che quasi la metà degli aventi diritto non ha votato. Questo influisce generalmente di più sull’elettorato di centro-destra che non su quello di centro-sinistra, più organizzato e radicato sul territorio, più condizionato dalla logica dei candidati. Siamo però solo a metà dell’opra nella maggioranza dei comuni e soprattutto in quello più significativo: Roma. Vedremo cosa succederà al secondo turno, se l’elettorato crescerà producendo altre tendenze o se, come penso, resterà tutto sommato indifferente alle sorti del comuni, Campidoglio compreso. La seconda riflessione riguarda il voto grillino. È certamente vero che, con l’esclusione del caso Parma, dove hanno giocato soprattuto fattori locali, e in particolare la posizione della destra di evitare al ballottaggio la vittoria della sinistra, il voto grillino, che si misura con candidati generalmente sconosciuti e anche di scarsa qualità, incontra le più cospicue difficoltà. Il risultato è tuttavia così modesto da far pensare anche a una inversione di tendenza, o quanto meno a un inizio di declino. Anche i sondaggi hanno registrato una flessione, sia pur più contenuta. È assai probabile che se si fosse votato per le politiche il movimento di Grillo avrebbe registrato un risultato migliore. Non credo però che sarebbe arrivato alla soglia raggiunta nello scorso marzo. Si avverte infatti una sorta di delusione, di disincanto e anche di irritazione nell’elettorato di Grillo, che si basa su tre ordini di questioni: la critica alla ragion politica, e cioè alla posizione assunta in occasione della composizione del governo, alla ragion morale, e cioè al presupposto di essere diversi dagli altri, e in questo post berlingueriani, mostrandosi poi  assai modesti sul piano qualitativo, alla ragion democratica, e cioè alla mancanza assoluta di regole di democrazia e di libertà dei suoi rappresentanti. Una terza inevitabile riflessione. Pur ricordando tutte le precedenti prudenziali valutazioni, resta il fato che il Pd non risulta minimamente danneggiato dal governo di larghe intese. Si poteva pensare che il primo segnale sarebbe stato negativo, che il suo elettorato non avrebbe gradito la commistione di Pd e Pdl, che avrebbe subito un effetto Berlusconi all’incontrario. Non è stato così. Personalmente sono sempre stato convinto che l’elettorato del Pd non rispecchi affatto la sua classe dirigente. E che molti malesseri politici che si riscontrano nel vertice e in larga parte degli iscritti non siano quasi per nulla presenti nell’elettorato. Pare che il risultato del Pd tenda a dimostrare questo, anche se si tratta di elezioni comunali e provinciali, dunque solo molto parzialmente da ricondurre a valutazioni politiche. Tutto questo consentirà al governo di vivere mesi di bonaccia. Speriamo che siano anche mesi produttivi per l’Italia.