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Esposito come Fierro. Chillo cà, chillo là…

Adesso mica voglio trasformare Berlusconi in martire. Ma che ci sia un alto presidente della Cassazione che dopo una sentenza, e prima ancora che vengano diffuse le sue motivazioni, accetta di essere intervistato da un giornale e si dilunga  in dialetto napoletano sulle cause della condanna, non era davvero prevedibile. Potrei diffondermi ancora sulla doppia anomalia italiana, sui due conflitti d’interesse, quello di Berlusconi e anche della magistratura politicizzata. Ma qui c’è anche un alto livello di imprevidenza e di superficialità. Per non usare altri e più offensivi vocaboli. Il magistrato Esposito non stava mangiando una pizza con la famiglia. Stava parlando con un giornalista, e che il giornalista fosse “così insistente” è davvero puerile come giustificazione. Come la smentita, smentita da un nastro registrato. Parlava in generale Esposito? Davvero non supponeva si riferisse a Berlusconi? L’imprevidenza, o inopportunità, come ha riconosciuto la stessa Anm, si trasforma qui in dabbenaggine. Come testimonia quel suo discorrere in napoletano, chillo cà e chillo là. Con tutto il rispetto per una nobile lingua che tanto ha regalato all’arte e alla musica, Esposito si è così trasformato anche lui in un soggetto da commedia di De Filippo o in protagonista di sceneggiata alla Merola. E, soprattutto, quel “chillo là e chillo cà”, mi ricordano un motivetto del vecchio Aurelio Fierro. E quella sua sapida canzone sulla sua donna che lo aveva lasciato regalandogli la sua riconquistata libertà. Davvero benedetta sia Chella là. Anche Esposito, con la sua “inopportuna intervista” regalerà la libertà a Berlusconi?