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Immunità e democrazia

12 Agosto 2013 1.217 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Adesso in tanti parlano, dopo la condanna definitiva di Berlusconi, di salvacondotto. Come quello promesso da Scarpia a Tosca nel capolavoro pucciniano. Ma chi dovrebbe assicurarlo e in base a quali prerogative francamente sfugge. Potrebbe il presidente della Repubblica firmare con insolito tempismo una grazia? E potrebbe questo Parlamento, in tutta fretta, votare una legge di amnistia che suonerebbe come una sorta di nuova legge ad personam? Impossibile. E neppure sufficiente perché oltre alla condanna penale ne esiste una accessoria sulla decadenza dai pubblici incarichi, oltretutto prevista anche dalla legge Severino. La grazia o l’amnistia ci potrebbe consegnare un Berlusconi libero, ma non più senatore.Eppure non nego che il tema posto dal gruppo dirigente del Pdl abbia una sua giustificazione. E si riferisce all’impossibilità di un leader politico, rappresentante di un terzo degli elettori, ed eletto senatore in più collegi, di continuare a svolgere le sue funzioni come autorevole referente di un così vasto elettorato. Il tema attiene il rapporto tra il rispetto della volontà popolare e il corso della attività giudiziaria. Per questo i costituenti avevano approvato l’articolo 68 della Carta costituzionale, che introduceva l’immunità parlamentare e la conseguente necessità, prima di iniziare una indagine, di chiedere l’autorizzazione a procedere alla Camera di competenza. Questo indirizzo rispondeva in realtà alla assoluta insindacabilità delle opinioni e degli scritti dei rappresentanti del popolo, ma tuttavia si manifestava come un argine a fronte di qualsiasi prevaricazione (si parlava di fumus persecutionis) di poteri esterni alla democrazia rappresentativa. Nel 1993 questo articolo è stato profondamente mutato e, fermo restando la necessità di chiedere l’autorizzazione a procedere per l’arresto, le perquisizioni e le intercettazioni telefoniche (sappiamo poi benissimo come in quest’ultimo caso si è aggirato l’ostacolo), non esiste più tale obbligo per le indagini. Dunque un magistrato può oggi aprire un’indagine su un parlamentare senza chiedere alcuna autorizzazione al Parlamento e poi processare ed eventualmente condannare un deputato o un senatore senza più rivolgersi alle Camere. Il 1993 era l’annus horribilis di Tangentopoli e un Parlamento sotto schiaffo si arrese alle pretese della magistratura e alla giusta indignazione della opinione pubblica. Ma dal 1993 sono passati vent’anni e quel che sconcerta è che nessuno, neppure coloro che ritenevano fosse in corso da parte di un settore della magistratura una sorta di golpe giudiziario contro il proprio leader politico, abbia proposto la revisione della norma stabilita con legge costituzionale nel 1993. È la solita storia. Non si è fatta la riforma della giustizia, ma solo leggi ad personam, non si è capito che l’articolo 68 modificato non consente oggi di richiamarsi al principio dei costituenti riguardo la funzione particolare del parlamentare eletto dal popolo. E si continua a fare affidamento su una funzione che la legge non riconosce più. Che abbiano governato in questi anni senza accorgersi di quel che facevano o non facevano? Non sono stati solo vent’anni neri, ma anche vent’anni di buio. E ci si può anche non accorgere che si sono caricati di proiettili i fucili che pensavano a salve, come quelli che uccisero Cavaradossi. Lui condannato, peraltro, per essere patriota e non evasore fiscale…

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