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La minoranza del Pd alla guerra (finta)…

14 Aprile 2014 1.041 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Massimo D’Alema ha sguainato lo spadone al grido di “riprendiamoci il partito”. Come, non è chiaro, visto che Renzi ha vinto alla grande le primarie qualche mese fa e oggi sembra in gran spolvero. Anziché il partito si prenderà, a quanto pare, un posto nella Commissione europea. Bersani pone giustamente alcuni paletti sulle riforme istituzionali, simili ai nostri. Cuperlo accentua le critiche sulla riforma del mercato del lavoro, con eccessiva enfasi vetero-sindacalista. Vedremo. Dunque quel che mi convince delle posizioni della minoranza, almeno per ora, del Pd è l’opposizione all’Italicum. Le osservazioni che Bersani gli ha riservato in tivù, nel corso della sua bella intervista a Mentana, sono le stesse nostre. E sono assai pesanti.

Ripassiamole, ne vale la pena. Innanzitutto il combinato-disposto con la riforma del Senato. Avremo un’unica Camera dove un partito del 20 per cento, in una coalizione che raggiunge il 37, composta anche da alcune liste che non superano il 4,5, si prende tutto: governo, presidente della Repubblica, presidente della Camera, Csm e Corte. La legge Acerbo del 1923 richiedeva almeno il 25, la legge truffa del 1953 pretendeva il 50. L’ho definita “la minoranza assoluta”. Tutto il potere a pochi. Poi, se io voto una lista che non supera lo sbarramento, i miei voti vengono trasferiti alla lista o alle liste che lo superano. L’ho definita “furto del voto”. E infine le liste bloccate. Il passaggio dal Parlamento dei nominati, vista la minor lunghezza del liste, a quel che ho definito il Parlamento dei “nominati corti”.

Sulla riforma del Senato sono annunciati alcuni emendamenti, ma non tali da stravolgere la legge di modifica. A meno che il Nuovo centrodestra non tenga duro sulla sua eleggibilità. Per adesso, essendo l’Italicum frutto di un accordo tra Renzi e Berlusconi, la legge resta chiusa in un cassetto. Perché scotta. Viene rinviata a dopo le europee. E siccome l’Italia è il paese del rinvio quando una cosa viene rinviata non sappiano nemmeno come la troveremo. Speriamo la più diversa possibile da quella proposta.

Quel che non mi convince per nulla sono invece le obiezioni di natura economica. Assomigliano troppo a quel che la componente comunista della Cgil e il Pci rivolsero a Craxi quando proponeva di cambiare la scala mobile. E’ la vecchia accusa di essere di destra, di copiare alcune ricette moderate, di tradire i vecchi dettami. Non si vuole ancora capire che una sinistra moderna deve uscire dal recinto delle sue vecchie certezze, se vuole essere convincente e vincente? Lo hanno fatto Blair e Schroeder, perché mai non dovrebbe essere possibile in Italia? Se il problema di fondo è oggi la disoccupazione e in particolare quella giovanile, la ricetta non può essere quella della Fornero. Non si può fare la lotta alla flessibilità in nome del dogma della stabilizzazione, quando la vera alternativa non è questa. Ma è tra lavoro e disoccupazione. E che dire di un sindacato che si divide così duramente sul principio di rappresentanza? Oggi che un giovane su due non trova lavoro e futuro…

Occorre invece un grade sforzo di innovazione e di adeguamento. Schroeder trovò il coraggio con la sua Agenda 2010 e la Germania ce l’ha fatta. La sua ricetta non era nuova, meno tasse, meno spesa anche sociale, più flessibilità nel lavoro, maggiore protezione sociale. E che importa se alcune ricette sono proprie della destra, se sono utili per risolvere i problemi? Anche Blair, nel suo rapporto con la Tachter, era accusato di questo grave reato. Schroeder ha perso le relazioni per questo. I riformisti devono avere il coraggio, sempre, di sfidare gli integralisti per tutelare gli interessi di chi sta peggio.

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