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Papa Bergoglio e il calcio

3 Maggio 2014 1.679 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Incontrando le squadre di Fiorentina e Napoli, che domani si contenderanno la Coppa Italia all’Olimpico, papa Bergoglio ha parlato con competenza anche di calcio. Ne ha tracciato un quadro preoccupato, augurandosi che l’aspetto economico non travalichi quello sportivo e che lo sport del calcio torni ad essere un fenomeno sociale. Oggi è davvero il contrario, soprattutto in Italia, dove non solo l’aspetto economico è sovrastante col peso delle televisioni sempre più soverchiante, ma dove il calcio viene individuato anche come mero fenomeno di ordine pubblico.

Non è così negli altri paesi. In Inghilterra, dove il rapporto nei bilanci tra proventi che vengono dagli stadi e quelli che provengono dalle televisioni non è così squilibrato come Italia a vantaggio di quest’ultimo. Non è così in Germania dove, pur essendo il peso televisivo ugualmente cospicuo, lo stadio è momento di festa per famiglie intere.

In Italia gli stadi sono vuoti perché le situazioni specifiche sono tutte penalizzanti. Esistono fattori negativi sia per quanto riguarda la comodità degli impianti, sia per quanto riguarda i prezzi dei biglietti, sia per quanto riguarda la presenza contemporanea delle televisioni, sia per quanto riguarda la presenza di biglietti e abbonamenti nominativi e di tessere del tifoso. Solo in Italia esistono cinque fattori tutti penalizzanti.

In Inghilterra ne esiste solo uno e cioè il costo dei biglietti. In Germania solo uno e cioè la presenza contemporanea delle televisioni. In Italia ne esistono cinque. E questo è il risultato di una concezione del calcio a prevalente fattore economico che favorisce una invadenza delle televisioni e viene gestito come fenomeno di ordine pubblico, soverchiato com’è da una serie di misure genericamente repressive.

Di cosa parla dunque Bergoglio, che dice cose vere e tutti gli danno ragione, che poi non serve a nulla se non si interviene? Recentemente l’Osservatorio del ministero degli Interni ha previsto una leggera correzione delle misure previste delle normative, ma nulla di rivoluzionario. Diciamo subito che i biglietti nominativi e le tessere del tifoso non servono assolutamente a nulla. Anzi hanno determinato l’effetto opposto rispetto all’obiettivo prefissato. I tifosi violenti, anche solo verbalmente, continuano a frequentare gli stadi e quelli perbene se ne stanno casa.

È ovvio. Se io considero tutti gli sportivi dei potenziali delinquenti chi lo è non si offende, ma chi non lo è sì. Se in curva si fa quel che si vuole e nessuno ci mette il becco a cosa servono questi strumenti? Per controllare gli altri settori che non sono mai a rischio? Per fare dunque i deboli coi forti e i forti coi deboli? Comodo e ridicolo.

In Spagna un giocatore raggiunto dal lancio di una banana la raccoglie e se la mangia e il franco tiratore viene subito individuato e punito. In Italia invece, a fronte di una cosa del genere, si sarebbe squalificata un’intera curva. In Inghilterra uno spettatore è entrato in campo ed è stato arrestato. In Italia avrebbero eretto barriere più alte. Il motivo? Negli altri paesi è stata sviluppata una repressione mirata e non generalizzata. Individuano e puniscono i violenti e tutelano gli sportivi veri. In Italia è il contrario. Altro che sport a dimensione sociale. L’Italia è un ossimoro. Che pena…

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