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L’Italia di Renzi

Inutile girarci attorno. Queste elezioni hanno segnato in Italia il trionfo di Renzi. Il suo Pd vola oltre il 40 per cento, superando nettamente le più rosee previsioni, e annichilendo perfino i sondaggisti e i soliti propinatori di exit pool ancora una volta sballati. Il Pd diventa il primo partito tra quelli socialisti europei e la sua percentuale va ben oltre il risultato ottenuto da Veltroni nel 2008, che pareva irraggiungibile. Le motivazioni a mio avviso sono sostanzialmente tre.

La prima riguarda la fiducia, conquistata in settori non tradizionalmente di sinistra, dal nuovo leader del Pd, che ha tagliato secco il cordone ombelicale con la tradizione comunista anche se ne ha invocato il voto esaltando Berlinguer a fine campagna elettorale. Hanno votato Pd non solo grillini delusi e sfibrati da tanta rabbia improduttiva, ma centristi azzerati e berlusconiani alla ricerca di approdi. D’altronde non è stato lo stesso Berlusconi, in più d’una occasione, a cantare le lodi del suo giovane avversario, a tal punto da risultare perfino poco convinto nei suoi ultimi affondi polemici?

La seconda è certamente relativa alla voglia di crederci, di affidarsi a un salvatore, di non puntare allo sfascio. Le prime mosse del governo hanno destato interesse e fiducia. Gli elettori le hanno ripagate col voto. Non solo la bontà degli ottanta euro, che sono sempre meglio di niente, ma anche la lotta agli sperperi della politica e ai privilegi dei manager pubblici. Renzi ha assunto alcuni temi del grillismo tentando di dare una risposta concreta. Il suo leit motiv che dipingeva un Grillo che punta al peggio ha fatto centro. Gli italiani hanno mostrato la volontà di costruire il futuro, non di demolirlo.

Ma c’è una terza componente che non va elusa. Ed è l’aumento consistente del non voto. Oltre il 40 per cento degli italiani ha deciso di non recarsi alle urne. È il dato piu basso della storia elettorale italiana. Più o meno la stessa percentuale del Pd. Questo, come è noto, ha danneggiato certamente la destra, ma anche il movimento Cinque stelle. Costoro, premiati dal voto dello scorso anno, sono stati parzialmente puniti dal non voto di ieri.

Ci sarà chi dovrà riflettere. Innanzitutto la ditta Grillo-Casaleggio che puntava al sorpasso. E che oggi si lecca le ferite di un voto non previsto. Mai le attese si sono rivelate così lontane dai risultati. Poi Berlusconi. Non si può affrontare una campagna elettorale senza un leader. E con Berlusconi ai servizi, Dell’Utri e Scajola in carcere. E col timido Toti, con una t sola e un tono solo, in campo. Sarà il tempo di Marina? Poi Alfano. Il suo partito si dovrà decidere o a cambiare nome o a cambiare collocazione. Se no resta un ossimoro. Mentre Sel, rifugiatasi sotto la giovane promessa di Tsipras, ottiene un risultato discreto ed elegge parlamentari. Del centro che non esiste più non è il caso di parlare. Monti ha gettato dalla finestra in un anno se stesso e il dieci per cento. Meglio che torni ai suoi studi.

L’Europa diventa italiana, con i movimenti di protesta e anti euro che trionfano in Francia e in Inghilterra, e l’Italia diventa europea con un partito del socialismo democratico europeo al 40 per cento. Strano, ma è così. Dovremmo dolercene proprio noi che a questo approdo abbiamo da sempre puntato? Una lezione per i piccoli partiti. Tutti sotto l’uno per cento. Una lezione per Di Pietro passato da protagonista a ricercato tra gli zero virgola. Un monito per quanti consigliavano di presentare una lista anche noi. Lo tsunami elettorale non consente diversivi.