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Ma cos’è sto patto federativo?

Su una cosa certamente il nostro Biscardini ha delle ragioni. Il patto federativo col Pd ancora non si capisce bene cosa sia. Per ora, almeno da quel che so, è solo un documento di collaborazione tra Pd e Psi. Ma la sua forma e le sue implicazioni politiche e organizzativa ancora mi sfuggono e starei per dire ci sfuggono. Per questo è necessario quel seminario proposto da Nencini. Bisogna guardarsi tutti nelle cosiddette palle degli occhi per capire dove vogliamo o possiamo andare.

I patti federativi, vedasi quelli sindacali, implicano la nascita di una federazione, composta dai contraenti il patto, che si impegnano per quanto possibile a far passare le decisioni, o parte delle decisioni, dalla federazione, sottraendo potere ai singoli aderenti. Non mi pare che si possa ipotizzare una siffatta soluzione. Il Pd col 40 per cento dei voti dovrebbe formare una federazione col Psi, che alle ultime elezioni a cui si è presentato ha raggiunto a male pena l’1 per cento. Dovrebbe sottrarre potere alla sua direzione e affidare le scelte di fondo alla federazione composta anche dal Psi.

Più proponibile è una forma di aggregazione politica del tipo di quella composta da Nuovo Psi, Dc e altri partiti minori con Forza Italia al momento di aderire al Pdl. E cioè una doppia militanza nel partito singolo e in quello più grande, con dirigenti che fanno parte del partito più grande in delegazione di quello più piccolo. Considerando cioè il Pd come una federazione, un soggetto di correnti politiche federate. Naturalmente si potrebbe tenere in vita anche il soggetto minore federato. Anzi, il soggetto minore avrebbe anche vita autonoma e potrebbe anche affrontare elezioni comunali e regionali con il suo simbolo e la sua lista.

Vediamo anche un terza soluzione. Evitare di porci questo problema e andare avanti da soli. È la soluzione che mi convince meno perché la trovo, questa sì, a serio rischio di estinzione. Quei compagni che in buona fede, e alcuni anche in minor buona fede, parlano ancora di rilancio del Psi e di presentazione di liste autonome, vorrei ricordare due cose. Noi presentammo una lista autonoma nel 2008 aperta a tutti i socialisti che credevano appunto nel rilancio di una posizione socialista in Italia. Vennero con noi settori dei Diesse, che non avevano accettato l’uscita del Pd dal socialismo europeo. Il nuovo PSI a maggioranza portò se stesso alla costituente con lo Sdi alla quale aderirono anche socialisti autonomi dai due partiti. Il risultato è stato quel che sappiamo. Per colpa di chi, canterebbe Zucchero?

Poi dobbiamo tenere presente i meccanismi elettorali. Con l’Italicum non solo noi, ma anche Sel, e perfino il Nuovo centrodestra, l’Udc l’ha già capito, rischiano di scomparire. Ma anche con un Italicum corretto sarebbe più o meno la stessa cosa. Dunque dovremmo prepararci a nuove sconfitte, a nuove delusioni, a nuove frustrazioni? Meritiamo tutto questo? Qualcuno forse pensa davvero che cambiando segretario, e mettendoci non so chi, cambierebbe il quadro?

Aggiungo che il Pd di Renzi non è più quello di Bersani. Appare un contenitore multiculturale, più che un partito politico, almeno a livello elettorale. Si profilano così due grandi partiti multiculturali, uno aderente al socialismo europeo e l’altro al popolarismo europeo. Non vi dice niente il nuovo ammiccamento di Alfano al centro destra in funzione di un soggetto popolare e non più berlusconiano? Prevedo che quando questo soggetto popolare sarà pronto allora ci sarà anche la dissoluzione di questa maggioranza. Su questi temi vorrei che si riflettesse al di fuori degli slogan e dei sogni che in politica non sono mai particolarmente creativi. E naturalmente senza scomuniche. L’unica cosa che non accetto è di sentirmi impartire lezioni di autonomismo. Io ero autonomista davvero quando gli altri erano a sinistra e al Pci non ho mai dato tregua nella mia città, nelle mia provincia, nella mia regione. Sarebbe bene non dimenticarselo.