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Tutti dentro la laguna

Ma i più esosi erano i magistrati della Corte dei conti. Questo emerge in un interrogatorio diffuso sulla stampa. La Tangentopli due o tre o ventitré entra nel merito della corruzione sistemica. Quella del 1992 si fermò a quella politica, guardata peraltro con occhi strabici. Era evidente che anche allora il finanziamento illecito fosse diffuso ovunque, ma i magistrati di allora non vollero vedere se non a senso unico o quasi. Era evidente anche allora che coinvolgesse anche settori importanti della magistratura, del giornalismo, della finanza, di altro. Li sfiorò soltanto. Quel che emerge dalla diffusione, speriamo non illegale, degli interrogatori è invece proprio il carattere generalizzato del livello corruttivo.

Pensare alla Corte dei conti che si faceva passare compensi ogni qualvolta doveva deliberare fa sorridere, ma anche rabbrividire. Naturale però, per una corruzione efficace, l’esistenza di un intero sistema di corruzione. Fosse stato parziale sarebbe stato debole e meno produttivo. D’altronde che i fondi neri venissero amministrati proprio da un certo Neri poteva anche destare qualche preventiva preoccupazione, così come il cipiglio autoritario della segretaria di Galan Minutilli, la Minu, detta Morticia, o come l’astuto decisionismo del plenipotenziario Mazzacurati, l’ottuagenario al vertice del Consorzio.

L’interrogativo che abbiamo formulato ieri lo riproponiamo oggi. È mai possibile, osservando ad esempio la villa di Galan, una sorta di castello in collina, il livello di vita di Chisso e di Speziale, per restare ai più noti personaggi di cronaca, che nessuno si sia domandato mai: “Ma costoro come fanno a vivere così con gli stipendi da assessore, da generale e da deputato?”. Possibile che nessuno, compreso coloro che magari non hanno preso un euro, sia sia mai domandato come vivessero i magistrati veneziani? E neppure si siano mai preoccupati di guardare dentro le carte del Consorzio? Come mai nessuno, se non il solo Cacciari, contrario anche all’opera, si sia mai opposto alle procedure che affidavano a pochi personaggi un così alto livello di discrezionalità e dunque uno spazio assai ampio per manovre criminose?

Renzi sostiene che il problema non sono le procedure, ma i ladri. Ma è anche vero che proprio per prevenire i ladrocini bisogna adottare procedure che non lascino eccessivo spazio alla soggettività. Ripetiamo un concetto elementare. Se si vogliono evitare normative emergenziali, come per l’Expo, come per il Mose, come per i Mondiali di nuoto, allora si emanino leggi che consentano insieme velocità e controlli. Non ci si può rassegnare alla logica secondo la quale se usi le leggi non riesci a rispettare i tempi e se adotti normative d’emergenza finisci inevitabilmente nella corruzione. È un vicolo cieco.

Adesso si risolvano presto due questioni. La prima è relativa ai problemi del commissario anti corruzione Raffaele Cantone, che prima di muoversi chiede ovviamente che l’autorità venga nominata e dotata di chiari poteri, la seconda è relativa al conflitto tra Cantone e Confindustria sull’ipotesi di commissariare le imprese in odore di mazzette. Intanto Renzi sostiene che i lavori devono andare avanti. Non ha tutti i torti. Pensare di bloccare l’Expo perché in Italia dilaga la corruzione sarebbe davvero imbarazzante. Non meno che dimostrare, come pensa di fare la Serrachiani, che anche la corruzione è una malattia generazionale. E appartiene al passato come Berlusconi, Monti e Bersani. Come il Pci e la Dc, come Diesse e Margherita, come tutto quello che è avvenuto ante Renzi natum. Ovvio che in momenti come questi servano salvatori. Però sarei un po’ più attento alle parole…