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Quel che resta di noi

Quando i francesi chiesero a Garibaldi di guidare un esercito per difendere la Repubblica dai prussiani, il generale rispose col famoso “ce qui reste de moi est a votre disposition, disposez”. Bisognerebbe anche noi porci il problema di ciò che resta di noi e decidere, in questo caso il compito è nostro, come investirlo. Se continuiamo a far finta di niente il rischio è che di noi non resti più nulla. Comincio da una valutazione storica. Sento profondamente, come un peso forte sulle nostre spalle, una grande responsabilità. Non voglio apparire retorico, ma c’è una tradizione politica che oggi non viene ereditata da nessun nuovo soggetto.

Se pensiamo a quella comunista italiana troviamo nel Pd un’adeguato riscontro. Basti il modo col quale è stato ricordato Berlinguer, che comunista è stato fino alla morte, anche se il segretario del Pci ha avuto il merito storico di aver consumato la rottura col Pcus. Berlinguer era un comunista anomalo, ma certo nulla aveva a che fare con la tradizione socialista e nemmeno con quella socialdemocratica europea. E poi appare sempre vivo il pensiero di Gramsci che, con tutti i suoi meriti, comunista e antiriformista era sul serio. Cinquant’anni fa moriva a Yalta Palmiro Togliatti e penso che ad agosto si parlerà molto anche di lui.

Se pensiamo alla tradizione democristiana non possiamo sottacere il modo con cui è stato ricordato, sia da sinistra sia da destra, Alcide De Gasperi, né far finta di non vedere nelle sezioni del Pd, accanto a quella di Berlinguer, la foto di Moro. Lasciamo perdere la tradizione liberale perché tra Croce ed Einaudi non c’é che da scegliere l’erede più attendibile. Di noi no, tranne Pertini di cui tutti si ricordano come combattente il nazifascismo e come presidente della Repubblica, di noi non c’è ricordo al di fuori del nostro.

Turati é lontano anni luce, di Nenni e Saragat non si parla, di Craxi pare sia vietato. Nella toponomastica anche di casa mia, ci sono vie intestate a quel filibustiere di Crispi, che perseguitò i partiti democratici e li mise fuori legge, non una intestata a chi guidò il Psi per diciassette anni e l’Italia per quattro. Noi non siamo solo un piccolo frammento politico, un rifugio per chi socialista era anche vent’anni fa, una scommessa per una sinistra che non c’è, anche se adesso forse c’è. Noi siamo una attestazione di un ricordo svanito, una luce su un passato che senza di noi sarebbe buio.

Però tutto questo non è sufficiente per esistere nella politica. Se fossimo solo questo potrebbe bastare un istituto storico. Anche perchè nella politica di oggi il passato conta zero. Contano gli spazi politici, sempre minori con un Pd che abbraccia un arco che va dagli ex Sel agli ex berlusconiani. Abbiamo diverse visioni del mondo sulla giustizia, sulle riforme istituzionali, sulla laicità. Ma ho l’impressione che anche nel Pd ci sia una dialettica su questi temi. Ecco quel che noi dobbiamo fare quando tratteremo il patto federativo col Pd. Esaltare una storia, illuminare le diversità del presente. A testa alta, senza rinunciare a nulla.

Ma anche senza essere schiavi di un’illusione divenuta ormai una frustrazione, e cioè rifare il vecchio Psi. Solo un cieco o un extraterrestre può pensare che un’operazione del genere sia possibile, magari con un nuovo gruppo dirigente, con diversi parlamentari o senza parlamentari, come qualcuno addirittura propone. Rifare il Psi con un Pd che non è il Pci e come ipotizzare la rinascita di Ginger Roger senza Fred Astaire. Se in un questi vent’anni si fosse fatto tutto il contrario il risultato sarebbe stato identico.

É un sistema politico che non rinasce quello superato vent’anni fa. Non è come dopo il ventennio fascista, durante il quale non si votava, quando rinacquero i vecchi partiti. La scissione di Sel, oltretutto, dimostra che anche chi è più a sinistra del Pd sta cedendo spazio, mentre al centro è ormai un deserto. Se dobbiamo anche noi adeguarci alla logica bipolare, sempre più trasformata in bipartitica, dobbiamo trovare il coraggio di combattere sempre per la nostra storia e per le nostre idee del presente. Con vecchio ardore garibaldino. Senza cedere sui principi, che sono la costante del nostro stare insieme.