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Senatus Populusque Romanus

Erano i due enti del potere romano, il Senato e il popolo. I patrizi e i plebei. Al Senato rimasero, anche dopo l’unità d’Italia, caratteri di rappresentanza particolari. Non era elettivo il Senato del regno d’Italia e la nomina era a discrezione del sovrano in base a supposti meriti acquisiti in vari campi. Dal 1948 il Senato è parte del potere democratico e repubblicano, fondato sul bicameralismo, eletto direttamente dal popolo. Nel dibattito sul Senato si scelse anche un metodo di elezione particolare, quello coi collegi uninominali (esaustivo a tal proposito l’intervento del giovane Antonio Giolitti nel dibattito alla Costituente), diversificandone il metodo da quello, con collegi proporzionali, assunto dal voto per la Camera. La rappresentanza regionale fu un criterio già deciso nel 1948, tanto che venne inserito in Costituzione.

La decisione di supportare le deliberazioni della Repubblica attraverso due Camere con gli stessi poteri, che traeva motivazione dalla volontà di scongiurare i poteri assoluti (la Dc nel 1948 conquistò la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato e fu indotta a proporre una maggioranza di coalizione), da molti anni impedisce ai governi di governare, se non a base di decreti e di voti di fiducia, perché un disegno di legge, che deve essere approvato in maniera identica nelle due Camere, impiega un anno, quando non due. Giusto quindi riformare questo assurdo bicameralismo perfetto. Giusto, necessario accelerare il percorso legislativo. Chi non é d’accordo alzi la mano.

Restano due problemi. Il primo è quello di scegliere se eliminare il Senato o se attribuirgli una funzione diversa da quella della Camera. Si è scelta questa seconda soluzione. Serviva un ampio consenso e lo si è trovato trasformando il Senato in Camera delle autonomie, con la partecipazione di sindaci e consiglieri regionali. Però si è nel contempo affidato a questo nuovo ente anche il potere delle riforme costituzionali, nonché quello di poter rivedere, sulla base di una richiesta di un numero di nuovi senatori, le leggi approvate dalla Camera. Altri poteri più ridotti sono stati delegati al nuovo Senato, che si dice, deve essere costituito senza oneri, il che vuole dire che i nuovi senatori, svolgendo anche attività di sindaci e di consiglieri regionali, non avranno uno stipendio, anche se qualcuno li rimborserà delle spese di vitto e di soggiorno a Roma.

Quello del risparmio è un leit motiv che lascerei perdere per ora. Come per le province, anche per il nuovo Senato, il risparmio sarà solo relativo alla mancanza di gettoni e di stipendi per i nominati di domani. Un’inezia rispetto al costo dei vari baracconi, delle province e del Senato, che rimarranno sostanzialmente invariati. Al massimo la spesa si tenterà di spostarla su altri enti. Il secondo problema riguarda l’eleggibilità del nuovo Senato. Personalmente continuo a non capire l’intransigenza di Renzi su questo punto. Perché non si vuole un Senato eletto magari assieme ai consigli regionali, come pare proporre anche il movimento Cinque stelle? Perché? Cosa cambia? Se la legge restasse qual è perché mai dovrebbe cascare il mondo e magari anche la legislatura se passasse l’emendamento sul Senato elettivo? Questo Renzi dovrebbe spiegare agli italiani. Anche perché, dai Matteo, un Senato non eletto e una Camera di nominati, manco il tuo Machiavelli sarebbe riuscito a immaginarli…