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La sinistra europea nella stagione dei vincoli

27 Agosto 2014 1.319 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Generalmente la Francia anticipa la storia. Non parlo naturalmente solo della rivoluzione francese, ma di tutte le avanguardie artistiche della fine dell’Ottocento e poi della nuova politica della sinistra, prima con il fronte popolare del 1934, poi con l’Union de la gauche di mitterandiana memoria, per non parlare del sessantotto anticipato di maggio. Quel che è accaduto nel governo francese in realtà è essa stessa un’anteprima di quel che accadrà nella sinistra europea. Il presidente Hollande ha scelto l’adesione ai doveri determinati dai vincoli europei (la Francia ha un debito inferiore rispetto all’Italia, ma ha un deficit in rapporto al Pil decisamente superiore che ha sforato il vincolo del 3 per cento).

Sul rispetto o meno del vincolo si è scatenata una discussione nel Psf e la sinistra del partito, a cominciare dal ministro dell’economia Montebourg, si è apertamente schierata contro i parametri europei, sostenendo che la politica del rigore porterà solo danni e non certo benefici. Per le sue dichiarazioni Montebourg è stato immediatamente sostituito. E non da un altro socialista di provata fede, ma dall’ex banchiere Emmanuel Macron. Dal governo sono anche usciti Aurèlie Filippetti, ministro della cultura, e Benoit Alon, ministro della scuola. Mai dissociazioni sono state più motivate sul piano politico.

Che nel partito socialista, e più in generale nella sinistra europea, si sia aperto un confronto sul rapporto tra i vincoli e il conseguente e dannoso rigore, contrapponendovi una diversa opposta politica, di sviluppo e di crescita, mi pare evidente. Dalla Francia emerge un punto. E cioè che queste due politiche non sono più conciliabili. Il governo e il partito francese si sono infatti spaccati su questo. E il modo col quale Hollande ha dato risposta ai suoi oppositori non lascia spazio a dubbi.

Anche in Italia il confronto è aperto. Sappiamo bene che nel Pd l’area che sulla politica economica fa capo a Fassina la pensa esattamente come Montebourg. Ma si sa, mentre i francesi sono chiari ed espliciti e portano fino in fondo i loro ragionamenti, analisi e proposte, l’Italia è un paese bizantino, dove tutto è avvolto dal sacro, ma spesso opportunistico, valore dell’unità. Personalmente sono convinto che la ricetta del rigore sia il male peggiore per combattere non solo la mancanza di crescita, ma anche il debito che a causa della recessione aumenta ancora. Però sarebbe bene intenderci sui vincoli.

Chi li ha sottoscritti ha il dovere o di chiederne la revisione, come anche a mio giudizio avrebbe dovuto fare l’Italia già nei secondi anni novanta, o di rispettarli. Altra via non vedo che non sia la dissociazione dall’Europa, la ricetta dei leghisti e della destra nazionalista. Forse è tardi ormai per chiedere la revisione dei parametri di Maastricht. Basterebbe evitare di considerare intangibile il cosiddetto fiscal compact, che in epoca di recessione è veleno mortale per l’Italia più ancora che per la Francia. La via giusta per ora sembra quella di Renzi. Restare nei vincoli, tagliare la spesa improduttiva, avviare le riforme economiche (senza quei vincoli l’Italia si sarebbe mai posta questi problemi?), ma ottenere la flessibilità necessaria per rimettere in moto gli investimenti. Se un taglio netto delle tasse produce lo sforamento del 3 per cento, questo deve essere consentito. Dall’Europa non devono arrivare ordini burocratici, ma ragionamenti politici. E un minimo di saggezza che per ora non c’è stata.

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