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Alcuni punti fermi per noi

25 Settembre 2014 1.526 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ho scritto due editoriali che hanno provocato un confronto serrato anche tra di noi. Con qualche eccesso a cui ho voluto ribattere con fermezza. Andiamo dentro al problema della politica sociale che una moderna forza socialdemocratica europea dovrebbe sostenere in Italia. Partiamo dalla realtà. L’Italia, contrariamente agli altri paesi europei, ancora non cresce. Anzi, contrariamente alle previsioni del governo chiuderà l’anno ancora col segno meno. Nel contempo il debito, con un Pil sottozero, continua ad aumentare e così la disoccupazione che, secondo i calcoli del Fondo monetario, è addirittura la più alta dal primo dopoguerra. Siamo d’accordo fin qui o contestiamo i dati?

Siamo in una sorta di emergenza. Secondo la Bce, il Fondo monetario, il presidente della Commissione, la cosiddetta troika, uno dei motivi è la mancanza di riforme, quella della giustizia, della macchina burocratica, della spesa pubblica, del fisco e anche del cosiddetto mercato del lavoro. L’analisi pare condivisa anche da pressoché tutti gli economisti di casa nostra. Possiamo anche fregarcene dell’Europa, ma ci siamo legati e se non ci sleghiamo, visto che a suo tempo abbiamo firmato accordi che prevedevano parametri, che poi non abbiamo messo in discussione, anche l’Europa conta, eccome, in Italia. Siamo d’accordo anche su questo? Mi pare difficile contestarlo.

Il problema sono le terapie. È giusto sostenere che il rigore non può essere efficace, che anzi porta il malato a morte sicura, perché deprime un’economia che avrebbe bisogno di incentivi. Di più eccitanti, non di più tranquillanti. Allora si proceda alle riforme e a quel che ho definito Nuovo patto con l’Europa che alla fine, grazie a un forte abbassamento delle pressione fiscale, potrebbe portare l’Italia anche a sforare, ma solo transitoriamente, il tetto del tre per cento. Sia ben chiaro. Io non sono mai stato tenero con Renzi, non mi è piaciuto il modo col quale ha parlato di rottamazione, col quale ha accoltellato Letta, i contenuti del patto del Nazareno che l’Avanti ha definito patto BR, soprattutto sulla legge elettorale. Però le decisioni, sarebbe meglio per ora definirle volontà, di riformare la giustizia anche sfidando il potere forte della magistratura e il lavoro, anche sfidando quello non meno condizionante del sindacato, io lo trovo in linea con le nostre passate e presenti tendenze. Forse ricordando Craxi, che trattò fino all’ultimo con la Cgil, prima di emanare il decreto di San Valentino, Renzi poteva spararle meno grosse. E assumere atteggiamenti più dialoganti. Ma non cambia di molto il quadro.

Quando si parla di mercato del lavoro dobbiamo intenderci. Il sol fatto di evocare l’articolo 18 senza sapere se verrà cambiata anche la revisione della Fornero, se gli attuali lavoratori che ne sono soggetti verrano preservati nelle identiche condizioni e qualcosa cambierà solo per i neo assunti, se verrà mantenuto il reintegro e in quali casi o meno, senza saperne granché, ha già scatenato il finimondo. È giusto? Per ora siamo a una legge delega passata in Commissione al Senato. Eppure siamo già alle barricate. Su cosa, non si sa. Pare che tutto il resto, che invece sarebbe molto più importante dell’articolo 18, e cioè il contratto unico a tutele crescenti, l’eliminazione della dualità del lavoro, la compressione del precariato, l’introduzione di nuovi amortizzatori sociali, che tutto questo conti nulla. Tutto è concentrato sulla battaglia attorno alle ipotizzate modifiche dell’articolo 18 che ancora non si conoscono. Questo chiedo ai socialisti, a tutti i socialisti. Si giudichi quel che c’è davanti, non quel che qualcuno intravvede dietro. Non siamo stati noi il partito delle cose concrete? O siamo diventati socialdietrologi?

Quando verranno presentate proposte dettagliate le valuteremo. Penso che alla fine sarebbe giusto introdurre il contratto unico a tutele crescenti che duri due o tre anni e mantenere l’obbligo del reintegro per i licenziamenti discriminatori. Da valutare l’idea di non toccare per i vecchi assunti nelle aziende con più di 15 dipendenti le norme in vigore, che continuano però ad affidare nelle mani dei giudici il futuro dei lavoratori licenziati e la possibilità di scegliere tra reintegro e rimborso. Importante invece introdurre amortizzatori sociali anche per i dipendenti delle aziende sotto i 15 addetti e assicurare coperture anche per coloro che hanno contratti a tempo determinato e precario. Questa, a mio avviso, è una posizione socialista, moderna, avanzata, riformista. Fare del “Giù le mani dall’articolo 18″ una politica come qualche compagno suggerisce, lo trovo perfino più arretrato e, uso un termine per farmi capire, meno di sinistra. Controproducente per le nostre stesse idee di giustizia sociale.

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