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Il 4 novembre socialista e italiano

7 Novembre 2014 885 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

È il giorno della vittoria, una giornata che fino a qualche anno fa era di festa. E siccome sono passati cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale, non sarà male celebrarne la fine nel suo novantaseiesimo. La guerra fu osteggiata dai socialisti, ma non da tutti. Una componente interventista democratica era presente nel mondo socialista, se non nel gruppo dirigente del Psi. Basti pensare a Gaetano Salvemini, a Leonida Bissolati, allo stesso Pietro Nenni, allora però ancora repubblicano. Questa posizione metteva in luce l’esigenza di contenere gli obiettivi assolutistici degli imperi centrali appoggiando le democrazie della Francia e dell’Inghilterra, mentre l’irredentismo socialista di Cesare Battisti metteva in rilievo il desiderio di indipendenza dall’Austria dei territori trentini.

La posizione non interventista era, a sua volta, interpretata da due tendenze diverse. La prima faceva riferimento alla maggioranza del partito, quella rivoluzionaria, che aveva confinato in minoranza i riformisti dal congresso nazionale di Reggio Emilia del 1912. Il suo leader era Benito Mussolini, che solo pochi mesi dopo l’esplosione del conflitto aveva radicalmente cambiato fronte per abbracciare l’interventismo e per questo venne espulso dal Psi. Dall’altra parte si stagliava la posizione più tenue dei riformisti che avevano sostanzialmente fatto propria l’ambigua esortazione di Costantino Lazzari e cioè “Non aderire, né sabotare”. Tra i riformisti Camillo Prampolini e Filippo Turati, pur non essendo alieni dal considerare legittimo un intervento di difesa del nostro territorio, aborrivano un bagno di sangue come quel che poi si verificò.

A guerra ultimata si contarono in Italia circa 650mila morti, quasi tutti giovani, caduti al fronte in battaglie folli e sanguinose. Le stragi sull’Isonzo lo inondarono di rosso e Gorizia venne maledetta nella famosa canzone. Eppure Turati, dopo Caporetto, aveva parzialmente modificato la sua posizione. O meglio l’aveva rimodulata alla luce di una guerra che era divenuta un’invasione. Con accorato accento difese le ragioni dell’intervento per la difesa della patria. Sembrava che gli austriaci fossero ormai alle porte di Milano. Turati interruppe il discorso di Salandra alla Camera che aveva proclamato “Grappa è la patria” con un “Ciò è per tutti noi, per tutta l’assemblea”. Lassù sul Grappa e sul Piave combattevano anche i ragazzi del 1899 per difendere i nostri territori. E Turati e Treves avevano gia descritto la nuova posizione su La critica sociale del 1 e 15 novembre del 1917: “Quando la patria é oppressa, quando il fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciare lampeggiare nell’anima soltanto l’atroce dolore per il danno e il lutto e la ferma volontà di combattere, di resistere fino all’estremo”.

Questa posizione venne immediatamente sconfessata dalla direzione del Psi che nel congresso del 1918 processerà a guerra finita il vecchio Turati, mettendolo alle corde per i suoi scivolamenti patriottici. Turati non arretrò d’un millimetro, ricordando le tumultuose assemblee della sua sezione a Milano. Riprendiamo le sue parole: “Quando ai nostri accusatori noi rispondevamo “Allora voi volete gli austriaci e Milano?” era una vera insurrezione che si scatenava: “E quando mai abbiamo detto questo?”. E allora, rimbeccavamo: “Se non li volete li volete cacciare?”. “No, neppure questo”. “Ma infine li volete o non li volete?”. Bisogna pur decidersi o sì o no. Tutte le posizioni sono rispettabili, tranne il nì che non è un’opinione. Tanto che a Milano per metterli alla prova, camuffandomi da estremista, proposi io stesso un ordine del giorno in questo senso: “I proletari non hanno patria e se ne infischiano della dominazione straniera”. Ma fu un tolle generale contro di me. L’hanno votato in dieci ed eravamo in trecento. E ancor di più, domandandomi quale poteva essere la soluzione si rispose: “La passività rassegnata”. Ahimè, io ho paura che non si sarebbero trattenuti gli austriaci al di là del Piave con la semplice passività rassegnata o disciplinata. Per combattere bisogna combattere, per difendersi bisogna non pigliarle. E la passività, disciplinata o no, é esattamente l’opposto dell’attività che occorre in questi casi”. Ricordando le parole del grande Turati oggi celebriamo tutti i nostri morti, con gratitudine, con sincero e solidale apprezzamento, con la consapevolezza che il loro sacrificio ha difeso la nostra patria dall’oppressione straniera. Da socialisti e da italiani.

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