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No alle guerre ideologiche, sì alle riforme

7 Novembre 2014 875 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Non si può che condannare la polizia che ferisce due lavoratori pacifici a Roma (e le responsabilità della Questura sono evidenti dopo il video trasmesso), come non si può che condannare l’azione di alcuni esagitati che feriscono due poliziotti a Brescia. Il clima che si sta creando è pericoloso. L’abbiamo già vissuto e sappiamo come é andata a finire. Mettiamoci anche qualche responsabilità del presidente del Consiglio che usa spesso un linguaggio provocatorio. Copre di battute i suoi oppositori interni invitandoli a una scissione che “non gli toglierà il sonno”, attacca il sindacato e lo paragona a tutte le corporazioni che impediscono le riforme. Oddio, non ha nemmeno tutti i torti. I suoi oppositori, penso alle parole di Cuperlo che lo accusa di mettere in discussione la democrazia, non si capisce perché possano restare nel partito del dittatore. Anzi, si capisce benissimo. Fuori probabilmente rappresenterebbero assai di meno.

Anche sul sindacato si dovrebbe ragionare. Ogni volta che si accende un conflitto sociale alla base c’è sempre il ruolo del sindacato, parlo della Cgil, cioè il suo potere, e la questione che ha mandato su tutte le furie la Camusso, oltre al rapporto preferenziale di Renzi con Landini, oggi più anti renziano di lei, è proprio quell’allargare le maglie alla contrattazione aziendale, assicurando un minimo garantito per tutti. Altro che articolo 18, che non viene tolto a nessuno. Questo è il vero problema. A cosa servirebbe a quel punto la contrattazione collettiva? Ma è giusto questo atteggiamento per chi si mette davvero dalla parte degli interessi dei lavoratori? Certo il presidente del Consiglio poteva essere più morbido e colloquiale. Ma che fine fece Massimo D’Alema quando propose le stesse cose, mettendosi in urto con Cofferati?

Piuttosto è giusto tacere sulle parole di Landini, intervistato domenica da Lucia Annunziata? Landini si è comportato molto bene in strada cercando di placare le reazioni anche giustificate dei lavoratori della Acciaierie di Terni, che dopo avere corso il rischio di essere licenziati e per molti di loro pare questo non solo un rischio, sono anche stati bastonati. Ma affermare che la Fiom non si fermerà dopo lo sciopero generale con duplice puntata a Milano e a Napoli, cosa significa? Cosa vuol dire continuare il conflitto “azienda per azienda”? Cosa vuole dire quell’accenno all’occupazione delle fabbriche? Quando in una democrazia viene approvata una legge la si rispetta. Anche se la Fiom non è d’accordo.

Se poi Landini intende fare politica, o meglio fondare un partito o un movimento elettorale, questo è nel suo pieno diritto. Può continuare la lotta democratica in quel modo. E se Renzi, come il buon Maurizio sostiene, non ha più la maggioranza degli italiani, cerchi di prenderla lui la maggioranza. Invece questo ragionamento non lo convince. Perché Landini non vuole fare “un partitino”, uso parole sue. E qui ci trovo una grande contraddizione che poi rispecchia la mancanza di una vera cultura democratica. Se Renzi non ha più la maggioranza il suo non sarà certo un partitino, no? La verità è che la sfida al governo non la si vuol condurre sul piano elettorale, ma sul piano sociale, del movimento e delle lotte. E questo appartiene alla vecchia cultura massimalista che definiva quell’altra come spregevole tattica elettoralistica. Il problema, infatti, non é mai stato, per costoro, quello di governare il paese, attraverso libere elezioni, ma di determinarne, o quanto meno condizionarne, le decisioni. E qui emerge grande come una casa il paragone con Craxi e il decreto di San Valentino. Anche allora si disse esattamente la stessa cosa. Il governo non doveva decidere, per di più con un decreto, ma concordare il provvedimento col sindacato tutto, cioè anche con la Cgil, senza la quale il governo non poteva deliberare un bel nulla. Chi non vede l’analogia è cieco.

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