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Signor Junker, ci dia quaranta miliardi…

Dopo il G 20 siamo tutti più ottimisti. Sembra che anche la signora Merkel si sia convertita alla politica sviluppista e abbia abbandonato il vecchio e nefasto rigore. Junker, che da lei direttamente dipende, ha fatto affermazioni impegnative in tal senso, naturalmente commentate con viva soddisfazione da Renzi, Cameron e tutti gli altri leader europei. Si tratta di una conversione dovuta anche alle recenti difficoltà di Junker come ex ministro delle finanze dell’allegro Lussemburgo, autentico paradiso fiscale, e per questo in odore di richieste di dimissioni? Se anche fosse sia benedetto il Lussemburgo. Quel che conta sono i fatti. Se alle parole seguiranno i fatti ben vengano le notizie sui paradisi fiscali.

Oggi Junker sostiene che al primo posto va messa la crescita e dunque vanno incentivati gli investimenti. Dunque sul piatto subito metterebbe i trecento miliardi per gli investimenti pubblici. L’Italia ha chiesto una parte importante di questo malloppo disponibile. Il ministro Padoan ha parlato di quaranta miliardi che grazie ai privati e alle agevolazioni bancarie potrebbero svilupparne oltre settanta. Si ritorna a Keynes? In qualche modo si. Che in una fase di recessione o di ristagno economico, anche la Germania adesso non se la passa per niente bene, sia necessario ricorrere anche agli investimenti pubblici l’avevamo capito già alle scuole medie. Eppure tanti rigoristi europei, compreso naturalmente il nostro, ci avevano sempre raccomandato di guardare al debito e al deficit che, essendo entrambi calcolati sul Pil, continuano a peggiorare solo tagliando spese che diminuiscono lo sviluppo.

Oggi pare un giorno nuovo. Anche in Italia il Nuovo Centrodestra pare aver riposto l’ascia di guerra sull’articolo 18. Sacconi e i suoi intendevano limitare il reintegro ai casi discriminatori e a pochi casi disciplinari che in buona sostanza si avvicinino ai discriminatori. Per tutti gli altri, ma parliamo solo di nuove assunzioni, sarebbe bastato l’indennizzo. L’intesa raggiunta all’interno del Pd pare più estensiva e sui disciplinari apre a un ventaglio maggiore. Vedremo in Parlamento. Noi sappiamo che la partita del Jobs act, che in troppi hanno voluto concentrare sul l’articolo 18, è invece da giocare su altro. Ad esempio gli ammortizzatori. Si parla di un miliardo e mezzo che non sarà sufficiente per tutti coloro che perdono il lavoro, ma è comunque un punto di partenza. I nostri parlamentari vigilino perché nella legge di stabilità i soldi ci siano.

Poi l’eliminazione dei contratti precari, che dovrebbero cedere il posto a quelli a tutele crescenti. E a tempo indeterminato, ma nei primi anni non subalterni al vincolo dell’indissolubilità. Se riusciamo a costruire un sistema che per gli imprenditori non obblighi sempre alla permanenza perpetua del lavoratore anche quando manca il lavoro e per i lavoratori sia sicuro sul piano della copertura economica e previdenziale, noi faremo un passo avanti. Un passo verso un sistema più giusto e meno conflittuale. Quello sempre negato dalle burocrazie sindacali e politiche. Quello osteggiato dalla violenza del terrorismo che colpì su questo Tarantelli, D’Antona e Biagi, che ieri ha minacciato Ichino e che oggi minaccia Taddei. A quest’ultimo vada la nostra completa e convinta solidarietà.