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Il partito delle carceri

Allora Alemanno e Buzzi si erano conosciuti in carcere. Il primo arrestato quando era un irrequieto giovane di estrema destra e il secondo per avere ucciso una prostituta. Non mi sono note le modalità del reato del primo e del grave delitto del secondo. Certo quel loro ritrovarsi dopo anni da vecchi compagni di cella li ha un tantino rinfrancati. Alemanno si presentava nelle vesti di sindaco di Roma e Buzzi a capo della più importante cooperativa sociale d’Italia. Una strizzata d’occhi e qualche “ti ricordi”? Poi il via alla prosecuzione della fattiva collaborazione che Buzzi aveva intessuto coi predecessori di Alemanno, Rutelli e Veltroni. Perché, da uomo di sinistra, Buzzi, con la sua Coop 29 giugno, aveva il timore che il passaggio di consegne alla destra potesse procurargli qualche problema.

Macché problemi. C’è sempre di mezzo quel Carminati, “er cecato” e tutta la sua banda. Anche Carminati era stato in carcere, con diverse condanne sul groppone. Aveva perso un occhio e l’uso di una gamba nel corso di una sparatoria con la polizia, mentre tentava con altri complici di fuggire all’estero. Con lui i suoi soci di affari e di crimini. Subisce condanne per “strage, rapina, omicidio, detenzione abusiva di armi, danneggiamenti dolosi”. Agisce coi Nar e poi con la Banda della Magliana. Va e viene dalla carceri utilizzando anche motivi gravi di salute. Da poco più di due anni si trovava in libertà. Nessuno può capire il perché. Possibile che Buzzi mantenesse un simile rapporto con chi aveva frequentato il crimine come un vecchio comunista la sezione?

Poi c’erano gli altri, gli altri tre re di Roma, secondo l’Espresso. Si erano divisi anche geograficamente la città. Erano uno ad ogni angolo del raccordo anulare. Tutta brava gente. Michele Senese, proveniva dalla camorra napoletana, lo dicono anche sicario nelle vendette tra cosche, detto “o Pazzo”, condannato a 17 anni poi ridotti a 8 di carcere e finito fuori perché faceva il matto. Poi c’erano i Casamonica, sinti, di etnia nomade, specializzati in droga. con Peppe anche lui arrestato. Infine i fratelli Fasciani, Carmine e Giuseppe, anche loro incarcerati poi usciti. Con questa gente, prevalentemente di estrema destra, diciamo cosi col partito delle carceri dialogavano non solo le cooperative della Lega, ma anche diversi gruppi della sinistra. Il Pd coi suoi indagati c’è dentro fino al collo e il buon Orfini é stato inviato come commissario a far luce su quel che Marianna Madia ha definito “vere e proprie associazioni a delinquere” presenti nel partito. Tra tangenti, contributi, stipendi, parte della vita politica della capitale si sviluppava all’ombra di un potere criminale.

Marino non sapeva. E se non sapeva dormiva. Io ho conosciuto personalmente Ignazio ai tempi dei convegni di Chianciano, che assieme a Pannella avevo convocato. L’avevo già incrociato poco prima durante la grande battaglia sul fine vita. Lui, chirurgo di gran prestigio, portava ad ogni nostro incontro la dolcezza del suo dire e l’esperienza del suo passato scientifico. Non posso che mantenerne un ricordo assai positivo. E anche stimolante. Un uomo serio, colto, perbene. Resta il punto politico. Le primarie che lo hanno designato sono state inquinate dall’apporto indebito di risorse illecite, che poi verranno versate, sia pure in misura più ridotta, anche a lui. Le elezioni sono state svolte in un clima di evidente corruzione politica. Il suo partito, che ha pensato a lui col segretario provinciale in primo piano, è oggi commissariato. La sua giunta è stata infangata con un assessore inquisito, il presidente dei Consiglio anche, mentre funzionari anche a lui vicini sono stati arrestati. È vero, Marino non c’entra col sistema criminale di Roma. Ma quanto potrà resistere agli affondi che finiranno per travolgere tra responsabilità indirette, dirette, distrazioni e sottovalutazioni, anche lui?