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La marcia su Roma

Salvini e Meloni rappresentano al meglio, anche generazionalmente, i caratteri della nuova destra italiana. Prendiamo il primo. Ha ereditato una Lega distrutta, ai minimi storici, travolta dagli scandali che toccavano la famiglia del suo fondatore. Ha saputo ridarle smalto, capovolgendo la sua tradizionale impostazione. Basta col secessionismo, che si addice al massimo alla Scozia, al bando l’odio per i terrori e per Roma ladrona. Ha promosso la marcia su Roma coi pullman dei veneti di Zaia e con quelli più moderati di Tosi, con quelli di Maroni e dei lumbard (vè che dentro c’è anche il senatur…una sorta di statua per contrastare l’iconoclastia islamista). I nordisti si sono mischiati in piazza coi romani che “li zingari li brucerebbero” e con quelli che “er nero o famo bianco”. Oltretutto il regionalismo è oggi in grave crisi di credibilità. Dunque la Lega salviniana, alla luce dei successi della Le Pen in Francia, ha trasformato il suo movimento in nazionalista e anti euro. Due questioni divenute popolari alla luce del fenomeno dell’immigrazione e dell’integralismo islamico, e della crisi economica dopo l’introduzione della nuova moneta.

A Roma il salvacondotto per Salvini è Giorgina Meloni, una sorta di ragazza “de borgata”, occhioni da lupo e accento der quartiere Garbatella. Lo segue per portare al movimento il suo suggello di destra nazionale. Giorgetta proviene dal MSI destra nazionale, sempre in testa nei cortei, anche quelli più pericolosi. Poi enfant prodige di An fino ad assurgere alla vice presidenza della Camera meno che trentenne nel 2006, poi dal 2008 addirittura ministro e dopo la crisi del berlusconismo fondatrice e leader di Fratelli d’Italia. Cosa c’era di più lontano dagli ideali bossiani del titolo dell’inno nazionale? Parliamo di Bossi che quando vedeva sventolare la bandiera tricolore parlava di straccio da gettare. Anche il vecchio Bossi era lì sul palco e annuiva spaesato, un po’ assente, forse non capiva bene.

Anche l’estrema destra di Casa Pound era in piazza col saluto fascista. Non è un po’ troppo? La Lega era, fino a poco tempo fa, non solo partito federalista e per talune fasi anche secessionista, ma anche antifascista. A tal punto da concepire nel 1994 un’alleanza col solo Berlusconi e non con An, che si presentò alleata con Forza Italia solo al Sud. Tout passe, tout casse. Oggi la nuova destra non ha più confini. E chiama Berlusconi ad una scelta. O sotto le sue insegne e la sua leadership, perché è ormai evidente che di li si passa per sconfiggere Renzi, o con Alfano e Casini in un centro che è destinato a divenire superfluo. Berlusconi rischia così di consegnarsi a un’altra politica e a un altro leader oppure di costruire un polo di centro col suo ex delfino-traditore. Sapendo che nell’uno e nell’altro caso a gioire sarà Renzi, il suo avversario-amico. Al quale andrebbero proprio bene sia una larga coalizione avversaria coi razzisti in prima fila, sia una coalizione avversaria divisa. A meno che anche a sinistra non nasca una nuova sinistra estrema. E il bipolarismo si trasformi in tetrapolarismo. Ne vedremmo delle belle…