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Noi crociati

Il segno di una croce sulla foto di un martire italiano del terrorismo islamico è un’esplicita dichiarazione di guerra a tutti noi. Non è il primo guanto di sfida che ci viene lanciato. Da tempo l’Isis, Al Quaeda, altri gruppi terroristici si agitano con esplicite dichiarazioni e fotografie contro l’Italia, Roma e il Vaticano. L’attentato contro i turisti, in buona parte italiani, del museo di Tunisi, e la successiva benedizione con esplicito riferimento all’eliminazione del crociato è la più recente, la più esplicita, la più concreta.

Rispolverare le crociate per seminare odio nei confronti dell’Italia è come rinverdire il sacco di Roma attribuendolo ai tedeschi, come far pesare ai turchi le scorribande dei pirati, come attribuire l’invasione dell’Egitto di Alessandro Magno ai macedoni. Un insulto, una beffa della storia. Certo le crociate furono un atto di aggressione violento in nome di una religione che si era fatta imperialista. Ma che c’entra col volto buono di un pensionato italiano che con la moglie voleva solo godersi qualche giorno in santa pace? Senza probabilmente neppure conoscere bene le crociate di mille anni fa. E soprattuto senza temere che per esse egli sarebbe dovuto morire.

Eppure non siamo di fronte alla semplice violenza della storia. Siamo di fronte a una lucida follia di stampo religioso. Per alcuni anche corroborata dal comportamento dell’Occidente nei confronti del mondo arabo: la guerra del golfo, quella all’Afghanistan, quella all’Iraq. Non so se queste siano state fondamentali nel determinare il conflitto in corso, se il fanatismo a sfondo religioso sarebbe stato meno o ancor più pericoloso con i talebani e Saddam ancora al potere. Certo l’appoggio agli insorti in Libia non ha generato una soluzione capace di portare stabilità. Anzi. Ma il mancato intervento in Algeria dieci anni, e in Siria pochi anni fa, cos’ha prodotto? E poi, coloro che ancora se la prendono con l’Occidente dicano cosa vorrebbero che si facesse ora. Solo un’inquietante e improduttiva autocritica?

Il tema adesso non è sociologico, ma politico. Che fare a chi ci ha dichiarato guerra? Far finta di niente, come sembra? Rifugiarsi dietro semplici coordinamenti europei, continuare a invocare impossibili soluzioni politiche? Credo che dovremmo invece agire immediatamente. Innanzitutto per meglio garantire la nostra sicurezza. Il governo stanzi subito una somma rilevante per rendere le nostre stazioni, i nostri aeroporti, i nostri porti, le nostre città, più sicure e protette. Si vigili meglio sul fenomeno dell’immigrazione da quei paesi, che oggi è in preoccupante aumento. Chi arriva in Italia è adeguatamente seguito, scortato, incanalato?

Poi si rompano senza indugi tutti i rapporti con quei paesi sospettati di appoggiare e finanziare i movimenti terroristici, verificando l’esistenza di responsabilità di Arabia Saudita e Quatar. Si appoggino militarmente ed economicamente quei paesi arabi che stanno svolgendo un ruolo essenziale per sgominare il cosiddetto stato islamico, a partire dall’Egitto di Al Sisi. Perché il primo obiettvo è quello di sconfiggere l’Isis, cacciandolo dai territori conquistati e dove si perpetrano episodi di barbarica ferocia. Sapendo che questa è una guerra. Una guerra tra civiltà e barbarie. E se la barbarie ostenta la croce, come simbolo dell’Occidente liberale, anche della croce contro l’intolleranza. Con la consapevolezza che la guerra va combattuta anche con le armi. Si evitino dunque altre Monaco. Sappiamo che anche col nazismo invasore si è usata troppa cautela invocando pace. La pace dei sepolcri.