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Ancora su di noi

Leggo strani commenti ai nostri problemi. Tutti dominati dal solito angoscioso dilemma su ciò che avremmo potuto essere e non siamo stati. Continuo a non capire. Chi pensa che un soggetto socialista in un sistema post identitario qual’è quello italiano potesse avere una consistenza paragonabile a quella del vecchio Psi è fuori dal mondo. Ma davvero in un sistema in cui non esistono più Pci, Dc, Psdi, Pli, Pri e Msi, il solo Psi avrebbe potuto rimanere in campo con una forza equiparabile a quella del vecchio partito? Riassumiamo bene il percorso del dopo 1993, cioè quello del dopo Craxi, per capire ancora meglio.

Si sono succeduti alla segreteria del Psi Benvenuto, Del Turco, poi Boselli per il Si, Spini per i laburisti, Cicchitto per il Psri, Intini per il Movimento liberalsocialista, poi Ps, infine, nel Ps, De Michelis. Nel 1998 nacque lo Sdi che mise insieme il Si di Boselli, Società aperta di Martelli, parte del Ps di Intini, il Psdi di Schietroma. Nel 2001 è nato il Nuovo Psi con il partito di De Michelis e la Lega socialista, formata da Martelli e Bobo Craxi,con lo stesso De Michelis alla sua guida, ma il partito si è subito diviso in due, dopo le elezioni del 2001, e una parte ha eletto segretario Bobo Craxi, che poi è rientrato nel Nuovo Psi. Poi nuova scissione di Craxi e Zavettieri nel 2005 e infine di Caldoro nel 2007, mentre io stesso subentravo a De Michelis alla guida di ciò che rimaneva del partito, che poi confluì, sempre nel 2007, nella Costituente socialista alla quale aderirono anche Bobo Craxi, Angius, Spini, in una prima fase anche Formica e lo Sdi che lasciava la Rosa nel pugno.

Dopo le elezioni del 2008, in cui il Partito socialista, costretto alla solitudine elettorale dal mancato apparentamento di Veltroni, venne sonoramente sconfitto raggiungendo a malapena l’1 per cento, divenendo una forza extraparlamentare, Nencini subentrò a Boselli che si ritirò per poi riapparire come vice presidente dell’Api di Rutelli. Adesso il Psi (che ha ripreso la I finale) è rientrato in Parlamento con sette suoi dirigenti, dei quali due hanno annunciato il trasloco nel Pd. Complessivamente, in questi ventidue anni, i migliori risultati sono stati quello dello Sdi alle elezioni europee del 1999 (il 2,1%) e quello del Nuovo Psi alle elezioni europee del 2004, esattamente con la stessa percentuale. Proprio il 2,1 % aveva ottenuto anche il partito guidato da Del Turco alle politiche del 1994.

Non si può dire che non ci siano stati tentativi, che questi ultimi non siano stati consumati da più parti: da sinistra, dove però c’erano secondo alcuni “i nostri assassini”, da destra dove secondo altri “un partito socialista non può stare”, in autonomia dove tanti rivendicavano la nostra posizione ideale, ma poi ci hanno negato il consenso per via del “voto utile”. Non si può dire che assieme a scissioni anche ridicole non si siano prodotte unificazioni significative. Lo Sdi nel 1998 e il Ps della Costituente del 2007 cos’erano se non segnali forti di unità socialista? Si poteva fare di più e di meglio, ovvio. Soprattutto nella prima fase del dopo Craxi, quando una visione a mio avviso solo burocratica del partito non ha consentito a Boselli di diventare una leader al pari del post democristiano Casini.

Ma non credo che con altri dirigenti (li abbiamo sperimentati quasi tutti) i risultati sarebbero stati sostanzialmente diversi. Forse solo Giuliano Amato, tra i vecchi big del partito, non ha mai seguito almeno un pezzo dei nostri percorsi. Noi tuttora manteniamo in campo una posizione socialista e non ammainiamo bandiera, nonostante Di Lello ci inviti a farlo. E il motivo è semplice. Non c’è oggi, o non c’è ancora, contrariamente a quello che è accaduto al Pci e anche alla Dc, un partito che sia la prosecuzione del Psi. Non il Psi, dunque, ma il suo erede nel sistema politico post identitario. Non lo è il Pd, partito che esalta Berlinguer e anche Moro, che riprende L’Unità e le sue feste anche in fase renziana. E non sarà l’adesione di Di Lello a cambiarlo. Certo non lo può essere Forza Italia, soprattutto oggi, componente del partito popolare europeo e in veloce dissoluzione. Dopo di noi non c’è il dopo. Questo è il punto. Siamo condannati ad esistere e certo lo possiamo fare anche meglio, come più volte ho scritto. Con più incisività, autonomia e anche aggressività. E lasciamo perdere i furori risorgimentali che ci porterebbero ad allearci con coloro che negli anni ottanta abbiamo duramente contestato come veterosinistri. Paradossale invero lo scavalco di Renzi dopo che il Pd sul piano programmatico sposa molte nostre vecchie posizioni. Semmai dobbiamo tallonare il nuovo che avanza mettendo in evidenza tutte le sue contraddizioni. Questo io penso con chiarezza e spero con coerenza.