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Tra Renzi e Garibaldi

Ormai è chiaro. La nostra piccola comunità è in preda a due tentativi di deflagrazione. Una, quella annunciata da Di Lello, e forse Di Gioia, per portare acqua al mulino di Renzi e del Pd. Credo che i due deputati confluiranno infatti non solo nel Partito democratico, ma diritti diritti nella sua corrente maggioritaria. Si scrivono appelli ai socialisti, si sottolinea l’inutilità del Psi al cospetto delle grandi revisioni renziane, non ultima l’adesione del partito al socialismo europeo. Peccato però che questa adesione sia ormai datata e che non costituisca certo elemento di novità. Perché, allora, non aderire al Pd quando la scelta è stata compiuta?

Perché si doveva convincere il partito o almeno una sua parte? Ma allora perché non si è aspettato il congresso, perché non si è puntato a presentare una mozione per verificare il livello di consenso che questa posizione, che giudico legittima, poteva riscontrare? Insomma, perché proprio adesso? La politica è fatta anche di tempi. E i tempi sono estremamente soggettivi. Si sono avute garanzie che prima non era state date? Voglio troppo bene ai due Lelli per sospettarlo. Resta il fatto che la loro scelta non solo indebolisce la nostra rappresentanza parlamentare, ma si configura solo come un’adesione di vertice, prodotta da chi aveva avuto dal Psi la massima gratificazione possibile, e cioè un seggio parlamentare.

Nel contempo il nostro partito è oggetto di una separazione da sinistra. Non ho ben capito cosa sia Risorgimento socialista, affascinante idea collegata alla figura di Giuseppe Garibaldi, di craxiana resipiescenza. È un nuovo partito, è un movimento, è solo un’ambizione? Chi è che non vuole risorgere, chi è che si vota alla morte eterna? Risorgimento è animato da un componente la segreteria nazionale, Franco Bartolomei, da alcuni della direzione tra i quali il bravo Alberto Benzoni, e da altri dirigenti socialisti, ma si comporta come un soggetto autonomo. Ha stabilito rapporti con chi intende formare, come Fassina, un nuovo partito alla sinistra del Pd. Anche questi compagni non intendono aspettare un congresso, ma si distaccano dal Psi e si dichiarano pronti ad aderire ad un altro partito.

Bene, cioè male. E i nostri che fanno? Lasciamo perdere i vaniloqui su facebook, perché altrimenti dovremmo pensare che anziché difendere il nostro partito che è alle prese con due scissioni, taluni si lanciano in spericolate accuse altrettanto distruttive. Qui il tema è semplice e lo ripeto. Non possiamo pensare che tutto sia come prima. Occorre non solo difendere l’orticello, ma annaffiarlo, acquisire voglia di custodirlo e battersi perché possa fiorire. Come? Innanzitutto sapendo su chi si può contare. Non servono più gli incerti, né gli inermi. Serve l’elmetto e il fucile. La voglia di battersi. A cominciare dai nostri persistenti parlamentari. I quali devono farsi carico di battaglie immediate di riconoscimento e di identità.

Ho scritto sull’Avanti quattro capitoli di un programma che ho proposto come base della nostra conferenza programmatica. Ho proposto di adottare tratticamente un asse con Alfano per la modifica dell’Italicum sul premio di coalizione al posto del premio di lista, condizione essenziale per poter puntare a una lista autonoma e collegata alle prossime elezioni. Ho lanciato idee sulla riscoperta, riunificazione, valorizzazione della nostra storia, ho lanciato l’obiettivo di una convenzione di tutti i circoli, le associazioni, le fondazioni socialiste italiane da convocare a settembre. Ben vengano altri suggerimenti, altre idee, altre proposte. Quel che continuo a non capire è questo frustrante e autolesionista costume di parlarci addosso. E male. Non c’è nessuno che parli così male di noi come noi stessi. Eppure basterebbe che ognuno (io faccio il mio dirigendo l’Avanti gratuitamente) facesse la sua parte. Che mettesse a disposizione la sua attività costruttiva, che la smettesse di impiegare tutte le proprie energie solo nella contestazione, e le cose andrebbero molto meglio.