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Che fatica…

Ho fatto il militante di base e ho raccolto le firme per la convocazione del referendum costituzionale, come previsto dall’articolo 138 della Magna carta, su libera scelta del nostro partito, parlando con i nostri, diciamo gli iscritti al Psi della mia provincia, nonchè con diversi militanti del Pd. Naturalmente ho cercato di spiegare le ragioni del sì, ma senza cercare la contrapposizione con coloro che sostenevano quelle del no. Tra i nostri, tra una parte dei nostri, sarebbe assai utile, per convincerli a optare per il sì, il cambio della legge elettorale. Si tratta, parlo del combinato disposto tra riforma costituzionale e Italicum, di una giusta preoccupazione. Finire per accreditare l’esistenza di un dominus, con la maggioranza assoluta nella sola Camera che ha il potere della fiducia, anche se al primo turno tale lista ha solo raggiunto il 30 per cento, è non solo politicamente, ma anche costituzionalmente, assai discutibile. Se ne occuperà la Corte e vedremo il risultato. E’ vero che col Porcellum il premio alla Camera andava alla lista arrivata prima, a prescindere dalla percentuale (e questo fu un rilievo della Corte), ma c’era appunto il cuscinetto amortizzatore del Senato, eletto, come prevedeva l’articolo 57 della Costituzione, “su base regionale” e che quasi mai consentiva alla maggioranza uscita dalla Camera di dormire sonni tranquilli.

Si fa tuttavia strada nel Pd l’idea di una riforma dell’Italicum e lo stesso Renzi ha aperto la porta ad una opportuna riflessione. Non si tratta soltanto di reintrodurre le coalizioni. Sostengo dall’inizio che il doppio turno nazionale (altra cosa è quello di collegio alla francese) è una soluzione anomala, iniqua, pericolosa. Questo soprattutto in un sistema tripolare con i due poli tradizionali che, se non vanno al ballottaggio, preferiscono votare il terzo incomodo. Questo è già avvenuto ovunque alle comunali e i sondaggi prevedono che la stessa cosa possa avvenire alle politiche. Secondo gli ultimi rilievi il movimento Cinque stelle sarebbe la prima forza politica del paese con circa il 30 per cento e vincerebbe al ballottaggio sia contro il centro-destra, sia contro il centro-sinistra. Col 30 per cento di elettori governerebbe l’Italia (al secondo turno si gioverebbe del voto degli elettori che più stanno lontano dal suo programma) e dal nono scrutinio si potrebbe eleggere anche il presidente della Repubblica.

Evidente che una legge elettorale non si possa cambiare solo perché favorisce un avversario. Nè solo perchè convincerebbe più elettori a votare sì al referendum costituzionale. L’errore di averla approvata, in un funzione dell’incoronamento di Renzi a vincitore assoluto, è evidente. Se uno strumento di democrazia è sbagliato lo è sempre, qualsiasi sia la posizione dell’elettorato. Nel merito della riforma costituzionale ho invece riscontrato la più totale disinformazione. Anche per questo, per discutere nel merito di ogni passaggio rilevante della riforma, sarebbe meglio il cosiddetto spacchettamento. Gli elettori dovrebbero potersi esprimere sulla riforma del Senato, sulla riforma del Titolo V, sulla questione dei referendum, sulla abolizione del Cnel. I radicali lo hanno proposto ufficialmente depositando una proposta che potrebbe essere firmata da un numero sufficiente di parlamentari.

Ho ascoltato posizioni le più difformi. Oltre a quella, che condivido, rispetto al combinato disposto Italicum-legge elettorale, tutto il resto mi è apparso frutto o di disinformazione o di strumentalità. Dall’idea che la Costituzione non si tocca (dopo che è già stata toccata 35 volte e questa obiezione è invero fuori luogo in un partito che con Craxi chiese per primo di toccarla nel 1979), a quella che il Senato non sarebbe eletto (non è vero, ma anche se cosi fosse, sono forse elette in Europa le seconde Camere, dove?), a quella secondo la quale la riforma sottrarrebbe poteri alle regioni (ma non era ora, dopo la riforma del Titolo V approvata dall’Ulivo che introdusse la sciagurata categoria delle materie concorrenti?). Se spieghi trovi ascolto e attenzione, ma dietro riscontri anche un atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti del presidente del Consiglio. Purtroppo il suo logoramento di credibilità è stato più veloce del previsto ed è andato di pari passo con lo sbilanciamento tra narrazione dell’Italia da parte del governo e percezione della realtà da parte dei cittadini. Bisognerebbe subito rimettersi in sintonia e approvare misure concrete che vadano nella direzione dello sviluppo, dell’occupazione, della povertà. Magari con una legge di stabilità che preceda lo svolgimento del referendum. Conterebbe, nella posizione degli italiani, assai piú di qualsasi ritocco istituzionale.