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I novant’anni di Rino Formica

Ho conosciuto Rino Formica quando ero un ragazzo. Partecipavo alle riunioni della corrente autonomista in vista del congresso di Genova dell’autunno 1972. Nenni era il punto di riferimento anche se agli incontri di gruppo si negava. C’era Bettino Craxi, e con lui Mario Zagari, poi Venerio Cattani, che non era stato eletto nel suo collegio di Ferrrara, Bologna e Romagna e ce l’aveva con De Martino anche per questo. C’era Loris Fortuna alle prese con la legge sul divorzio. C’erano il romagnolo Stefano Servadei e il presidente della regione Toscana Lelio Lagorio. E c’erano i giovani Claudio Martelli e Ugo Finetti, allora vice segretario della Fgsi. Ma c’era soprattutto Rino, barese, sorridente, affabile, colloquiale.

Formica era il trait d’union del gruppo. Rino fu protagonista della Conferenza nazionale di organizzazione che si svolse a Firenze nel 1975 disegnando un modello di partito moderno, che uscisse dagli schemi morandiani in cui ancora risultava confinato e quando Craxi fu segretario del Psi, dal 1976, continuò a fungere come referente della periferia. Sempre disponibile, sempre pronto alla battuta, sempre alle prese con proverbi e citazioni che poi venivano riprese in formichese, un modo di commentare che fuoriusciva sempre dal politichese. Se avevi bisogno di un’informazione, di un giudizio politico, di una previsione ti rivolgevi a lui che ti anticipava la risposta senza farti finire la domanda.

Rino Formica é stato ed é tuttora, a novant’anni suonati, una delle menti più lucide della politica italiana. A lui ricorrono spesso giornali e tivù per commentare e pronosticare. Sembra oggi più votato a giocare col futuro che non col passato. Anche del suo parla poco, dei suoi ministeri, di quando fu capogruppo, di quando appoggiò Craxi e di quando lo criticò e ne prese le distanze. Di quando capì in anticipo con Martelli la crisi del Psi. Dopo la fine del partito si rintanò nel suo ufficio di via Quattro novembre per pensare e scrivere. Per elaborare e leggere il futuro. Si era scostato solo una volta dallo sguardo in avanti. Quando, da ministro dei Trasporti, dopo la strage di Bologna del 1980, un giornalista gli chiese chi fosse stato, chi fosse il mandante, chi c’era dietro e lui rispose secco: “Non sono la zingara”. Sempre diretto e ironico e auto ironico anche di fronte alla tragedia.

O quando Craxi lo inviò da Fanfani perché, con molto tatto, gli confidasse che il Psi apriva la crisi di governo nel 1983 e Rino prese a braccetto il vecchio presidente e gli disse senza indulgenza: “Amintore hai finito con l’alfetta blu”. O quando, ricordo a Reggio Emilia, dopo un comizio alla festa dell’Avanti del 1981 di fronte a uno che gli gridava P2, scese dal palco e lo affrontò con queste parole, condite con la sua erre roteante: “Cretino, lo scandalo l’ho fatto scoppiare io”. Quante storie mi sovvengono nel ricordo di Rino che oggi compie novant’anni. Gli auguro ancora tanti anni di vita, perché della sua mente libera e creativa ne hanno ancora bisogno i socialisti e gli italiani. Caro Rino sappi che l’Avanti e il Psi anche oggi ti sono vicini con enorme gratitudine e infinito affetto.