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Il rancore e il rimpianto

Per Giuseppe De Rita (nel suo articolo di oggi sul Corriere) queste sono le due caratteristiche oggi prevalenti tra gli italiani, capaci di orientarne le tendenze elettorali. Il rancore verso gli altri, che in parte sostituisce il valore della lotta di classe o della mobilitazione positiva per l’affermazione di diritti collettivi di carattere sociale e civile, é sentimento non nuovo. Affonda le sue radici nel blocco all’ascensione sociale di un ceto medio insoddisfatto, frustrato, ribelle, che già negli anni novanta aveva trovato rifugio nella Lega e che oggi ha impugnato lo spadone dei Cinque stelle. Si tratta a mio avviso, però, di un sentimento volubile, non piatto e uniforme, capace di orientarsi verso chiunque proponga danni per gli altri più che vantaggi per sé. Il rancore é popolare, viene incrementato dai mezzi di informazione e la parola Casta é ormai entrata nel gergo popolare non solo per definire il sistema politico. Esiste una casta dell’informazione, dell’economia, dello sport, in ogni associazione, in ogni segmento aggregativo c’é la casta contro la quale affinare coltelli. I social devastano. La delega viene disconosciuta. Ognuno può scrivere e dire quel che vuole, anche offendere e denigrare. Siamo all’appiattimento, alla omologazione. Il rancore produce l’idea che non esistano persone colte e ignoranti, intelligenti e rozze, creative e grigie. Sismo tutti uguali, tutti capaci di far tutto. E chi é più in alto di noi è perché ha avuto fortuna, raccomandazioni, soldi, senza merito alcuno.

Brutta roba il rancore. Per fortuna emerge oggi il rimpianto, che non sopprime il rancore ma pare incanalarlo verso una soluzione. Possibile, impossibile? Leggiamo De Rita: “Se ripercorriamo la cronaca degli ultimi mesi troviamo evidenti cedimenti nostalgici: al ricordo di alcuni protagonisti del passato (da Rodotà a Villaggio); al rientro in campo di qualche antico leader politico (da Prodi a Berlusconi); al compiacimento per il successo museale della mitica 500; al ripercorrere, sotto il palco di Vasco Rossi, quarant’anni di nostre storie personali; al risveglio della logica proporzionale per le future elezioni politiche; al rimpianto per l’intervento pubblico nell’economia e sul territorio (ho letto addirittura, specie nelle zone terremotate, sorprendenti richiami alle soppresse Province). È probabile, su queste basi, che la nostalgia possa diventare una variabile importante nelle prossime vicende politiche”.

Qualcuno potrebbe pensare allora di riscoprire personalità politiche e magari partiti del passato? Personalmente, già qualche anno fa, misi in cantiere per il Psi il Processo alla seconda repubblica mai nata. Intervennero in tanti. Da Damilano a Teodori a Paolo Franchi, a Tiziana Parenti. Tutti convinti che nel paragone la cosiddetta Prima repubblica avesse stravinto. Oggi la sensazione si è fatta generale. La storia é una cosa, la politica altra cosa. Purtroppo non possiamo richiamare in servizio Craxi, Andreotti, Berlinguer, mentre Forlani e Napolitano sono ultranovantenni. Il rimpianto non consente soluzioni automatiche. Ciò che si rimpiange non si può far rinascere. Ma solo rivalutare. Tranne, forse, che su un punto. Quel che di buono si gettò dalla finestra e che con la rottamazione renziana si é seppellito era la professionalità nella politica. La mancanza di una classe politica autorevole é alla base della crisi italiana e non basta dichiarare oggi obiettivi giusti (il 3 per cento deficit-pil e 30 miliardi liberati per investimenti e detassazioni) per diventare credibili. Oggi più che mai si avverte il bisogno di abbinare qualità politiche del passato a una nuova preparazione tecnico-scientifica. Non basta però quest’ultima (i richiami a Draghi, a Marchionne, anche a Callenda, sono univoci). Occorre, come ha giustamente corretto un uomo del centro destra oggi vincente, anche la prima. Servirebbe un Diogene per rintracciarne alcuni…