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I tre della (finta) riforma

Tutto, o almeno moltissimo, dipenderà dalla legge elettorale. Leggo che ormai anche Renzi sarebbe orientato a sottoporre ai suoi interlocutori, che il segretario del Pd continua a individuare in Berlusconi e Grillo, proposte di modifica al testo approvato con le varianti introdotte dalla Corte. Ha un senso chiamare a raccolta l’opposizione nella definizione delle regole del gioco democratico, ma forse non sarebbe male partire da una proposta capace di unire la maggioranza che per quasi cinque anni ha tenuto insieme il governo. Le questioni di fondo riguardano i meccanismi per assicurare la governabilità e la questione delle coalizioni.

Sulla prima é evidente che, scattando, come avverrebbe con la legge attuale, il premio alla lista capace di raggiungere il 40 per cento, risulterà impossibile costruire un governo sancito dal voto degli elettori. Ma anche nell’ipotesi peregrina che alla Camera una lista raggiungesse il tetto previsto, difficilmente la stessa lista, a causa dei particolari meccanismi di rispetto delle territorialità regionali, avrebbe la maggioranza al Senato. L’attuale configurazione legislativa potrebbe tuttavia sancire una sorta di ius, tutt’altro che previsto in Costituzione e peraltro mai applicato, ma che pare sancito de facto oggi, secondo il quale il presidente della Repubblica dovrebbe affidare il mandato di formare il governo al leader della lista che si é guadagnata più voti. E tutti i sondaggi, nonostante un calo negli ultimi mesi, ritengono sia quella dei Cinque stelle.

Evidente che né il centro-destra, né il centro-sinistra si possano permettere di correre questo rischio. E perfino Renzi, il più restio, forse sotto la pressione dei suoi che vedono franare la terra sotto i piedi con sondaggi sempre più negativi, sta meditando di allacciare un dialogo per modificare la legge. O abbassando il premio (sarebbe un ulteriore favore ai Cinque stelle) o introducendo le coalizioni e magari contemporaneamente abbassando la soglia per il premio (ma sarebbe un gran favore al centro-destra). Il premio alle coalizioni potrebbe rimettere in gioco una lista Pisapia non più in funzione di federatore del polo a sinistra del Pd (operazione peraltro ai limiti dell’impossibile), ma come alleato, sia pur da sinistra, del Pd. Questo darebbe ossigeno al centro-sinistra ma procurerebbe ulteriori problemi al Pd (primarie di coalizione, perdita di consensi verso la lista Pisapia).

La verità é che l’unico che ha capito come muoversi e che ha fiutato aria di vittoria é Berlusconi. Forza Italia ha ripreso vita, molti sono i rimpatri avvenuti e altri annunciati, mentre Salvini e Meloni si godono percentuali previste mai toccate prima. Il cavaliere pensa a una coalizione per vincere fondata non solo sui tre, ma anche su una quarta lista liberale di centro. Una disposizione a testuggine quanto mai azzeccata. E la sinistra che fa? Litiga, si mette le dita negli occhi, si divide, o come nel caso di Renzi (non parlo di Orfini per carità) tace. Certo il premio alla lista favorisce Grillo e quello alla coalizione il centro-destra. Sapere cosa favorisca il Pd é un mistero. Ma se il segretario del Pd non capisce che una riforma della legge elettorale a tre non é possibile, allora non capisce la politica. E siccome tutto si può pensare di Renzi tranne che sia un ingenuo, allora tenere fermo lo schema della riforma a tre significa non volere alcuna riforma. Per fare cosa? Per puntare a un governo extra large dopo il voto, magari passando attraverso due passaggi: il probabile mandato senza esito di un incarico grillino, il distacco di Berlusconi da Salvini e Meloni. Se naturalmente la somma arriverà al 51 per cento dei seggi. Condizione anche questa molto difficile da realizzare. Mi pare che il Pd abbia scelto di navigare a vista, senza un ormeggio sicuro, senza considerare che già un’imbarcazione che ha fatto storia é finita contro un iceberg. E anche se qualcuno continuava a suonare contento é drammaticamente affondata.