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Perché mi piace il governo Gentiloni

11 Settembre 2017 725 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Abbiamo gia avuto modo di scrivere sul gradimento di Gentiloni, che é ormai da tempo in testa alle preferenze degli italiani. Penso che questo possa anche essere influenzato dal suo carattere, schivo, misurato, essenziale, che é visto con favore dopo gli effetti speciali di Renzi. Credo tuttavia che ci sia dell’altro e che il governo abbia dimostrato, in questi otto mesi di vita, di saper raggiungere risultati tutt’altro che disprezzabili in economia, sulla sicurezza, sulla politica internazionale. Cominciamo dalla prima. E’ vero, l’aumento del Pil che potrebbe arrivare a un buon più 1,5 su base annua, é anche merito del governo precedente. E non é detto che questo dato sia destinato a consolidarsi visto che le previsioni per l’anno prossimo non sono per nulla rassicuranti.

Tuttavia la decisa presa di posizione del ministro Calenda, contrario a una riduzione delle tasse a debito e invece convinto che siano gli investimenti quelli da privilegiare, e penso che questa sia anche la posizione di Padoan (vedremo la legge di stabilità), vanno nella direzione giusta. Anche il decreto sul reddito di inclusione é un elemento nuovo e positivo in direzione di uno strumento, per ora incompleto, che garantisca assistenza e incentivi alla povertà. Non é il reddito di cittadinanza, una sorta di pensione a vita garantita a coloro che non lavorano, ma un provvedimento transitorio che, unito alla necessaria formazione, possa portare i disoccupati a trovare o inventarsi un lavoro.

Il reddito di inclusione sostituisce due provvedimenti precedenti: il Sia, ovvero il sostegno per l’inclusione attiva, e l’Asdi, cioè l’assegno di disoccupazione. Si comincia con uno stanziamento di quasi 2 miliardi che interesseranno le famiglie con figli minori e disabili, donne gravide, persone ultracinquantenni disoccupate. Saranno circa 1 milione e 800 mila le persone interessate. Poi il provvedimento si allargherà a tutta la fascia della povertà. Il contributo é modesto, e varia da 187,5 euro mensili a 485, per un periodo massimo di 18 mesi e non rinnovabile prima di ulteriori sei mesi. Quello che mi rende perplesso é mescolare, come si fa, assistenza alla povertà, che non può essere transitoria, se non cambia la condizione, e incentivo all’occupazione. E inoltre farei volentieri a meno delle nuove commissioni, tavoli e osservatori che anche con questo provvedimento vengono creati. Non ne sentivamo la mancanza…

Il secondo positivo segnale del governo riguarda la nuova strategia con la quale affrontare il dramma della migrazione. Il ministro Minniti ha colpito giusto. Il problema é all’estero, in Africa, in Libia e non solo. Gli sbarchi sono nettamente diminuiti e così anche le morti in mare, gli sporchi vantaggi per gli scafisti, i connubi di qualche Ong con la migrazione irregolare. Ma questo non può bastare alle nostre coscienze se non verranno sottratti alle autorità libiche e condotti sotto egida e gestione Onu i campi di accoglienza (sarebbe meglio dire di respingimento) e se non verranno realmente stanziati fondi da destinare alla Libia, al Ciad, al Niger, per investimenti che creino lavoro in quei paesi e permettano ai respinti di tornare con qualche speranza ai paesi d’origine.

Finalmente l’Italia é tornata protagonista sullo scacchiere europeo, soprattutto per merito di Minniti. Il vertice di Parigi, che ha coinvolto Spagna, Francia, Germania, oltre a Libia, Ciad e Niger, ha visto giocare un ruolo di prim’attore all’Italia. I nuovi rapporti italiani con entrambi i governi libici rappresentano un elemento di sano e produttivo realismo. Se posso aggiungere una considerazione sul caso Regeni, faccio solo notare che finalmente il ministro degli Esteri si accorge che i problemi sono a Cambridge. Senza sminuire le responsabilità morali, politiche e materiali di chi quel povero ragazzo ha torturato e ucciso, sarebbe utile andare a scoprire chi lo ha mandato in una terra pericolosa e in guerra, per fare cosa e con quali mezzi. Gli inglesi sono, con la Brexit, fuori dall’Europa ma non possono essere ritenuti fuori dal rispetto delle leggi e dei rapporti di amichevole collaborazione cogli altri paesi europei. Compresa l’Italia.

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