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Quel che penso della manovra

Parliamo del bilancio e del decreto fiscale. Cominciamo dai numeri. La manovra sfiora i 40 miliardi. I primi conti la portano a 37,5 miliardi. Se escludiamo le risorse utilizzate per neutralizzare l’aumento dell’Iva, oltre 12 miliardi, arriviamo a 25. Di questi ben 17 servono per due soli provvedimenti: il reddito di cittadinanza, quasi dieci, e la riforma della Fornero, circa sette. Il resto è ben poca cosa. Si parla di 15 miliardi di investimenti in tre anni, dunque cinque all’anno, ma è anche difficile individuarli. Esiste poi la flat tax, sarebbe meglio dire l’annuncio della flat tax, che appare alquanto annebbiata e riservata solo alle partite Iva fino a 65mila euro l’anno (un secondo scaglione annunciato fino a centomila è stato stralciato) e dunque finisce solo per raddoppiare il regime forfettario che oggi si applica fino a 30mila euro.

La manovra economica é dunque segnata dal duplice affondo grillino, sul reddito di cittadinanza, e leghista, su quota cento (somma tra anni di vita e di lavoro retribuito) per andare in pensione prima. Mi chiedo se questo, al di là dell’indebitamento che porta il rapporto deficit-pil al 2,4, cioè all’1,6 in più di quello programmato, siano le priorità per un’Italia in cui la disoccupazione e la questione giovanile emergono nella loro più assoluta evidenza. Dare risorse a chi non lavora è giusto se il tutto è limitato temporalmente, accompagnato dalla formazione al lavoro, sospendendola alla prima proposta. Cioè in sostanza privilegiando la cultura del lavoro e magari aumentando le risorse già stanziate dal reddito di inclusione, partorito dal governo Gentiloni. Niente di tutto questo.

Il reddito di Di Maio (a proposito, é meraviglioso questo comportamento così intransigente nel tagliare stipendi e pensioni degli altri tranne i suoi e quelli dei suoi amici che devono finanziare con soldi pubblici la piattaforma Rousseau) non ha vincoli temporali, uno potrebbe percepirlo per tutta la vita e potrebbe perfino rifiutare due proposte di lavoro. Diciamo che é solo nella più cupa logica anti produttiva che si muove questo provvedimento visto che una persona potrebbe continuare ad essere mantenuto dallo stato pur potendo lavorare. Non so in quale paese del mondo esista una tale autolesionistica norma svuota-fondi pubblici che finisce per retribuire coi soldi di chi lavora coloro che preferiscono non far nulla, rifiutando per due volte magari lo stesso lavoro di chi contribuisce a pagarli. Il che finirà per mettere in contrasto tutti i mantenuti statali con coloro che si guadagnano da vivere col sudore della fronte o della mente. E che, magari, saranno tentati, per conquistare il reddito senza lavoro, a licenziarsi e a lavorare in nero.

Follie. Ma la riforma della Fornero non é più sana. Tutto si gioca su una scommessa che non hai mai funzionato. E cioè che mandando in pensione prima i lavoratori si liberino posti per nuovi pretendenti. Ho letto statistiche che riguardano altri paesi europei e il conto non torna. Ma i nostri pensano che in Italia la scommessa (anticipo della pensione per nuovi posti di lavoro) sarà vinta. Non ho poi ben capito da dove nascano due convinzioni. La prima é la previsione di un Pil all’1,5 nel 2019 quando tutti i centri specializzati, ma anche le stesse autorità del Tesoro italiane, parlano dell’1, massimo 1,1 per cento. Il governo ritiene che reddito di cittadinanza e flat tax sulle partite Iva portino lo 0,4 per cento in più. Come crederci? La seconda riguarda (dentro una manovra finanziata per quasi due terzi in deficit) la previsione di entrate e di minori spese per oltre dieci miliardi. Ho provato a ricavarle dal condono (ma come si può quantificare le entrate di un condono?), dal taglio alle pensioni di più di 4.500 euro (é stato quantificato in un miliardo in tre anni, dunque in soli 330 milioni nel 2019), nella maggior tassazione per le banche e le assicurazioni, nel minor costo degli immigrati

Arrivare a dieci miliardi (inserendo anche le minori spese dei ministeri) mi pare impossibile. A meno di non eliminare in toto o in gran parte le agevolazioni fiscali, e intaccare il welfare. Così mi sembra che la manovra non stia in piedi, che serva solo per arrivare alle elezioni europee lusingando e illudendo gli italiani, che molte previsioni saranno modificate dalla realtà, che molto probabilmente si dovrà ricorrere, dopo le Europee, a una manovra di aggiustamento. La contestazione alla manovra deliberata non riguarda solo o tanto la logica dei numeri (altri paesi hanno sfondato i vincoli europei), ma le scelte politiche che stanno alla sua base. Si poteva anche sfondare il tetto concordato, ma stanziando risorse per uno obiettivo di maggiore crescita. Innanzitutto aumentando considerevolmente gli investimenti pubblici e poi detassando completamente le nuove assunzioni. Queste sono le due manovre che altri paesi hanno compiuto, come la Spagna, e che hanno prodotto una crescita del 3 per cento annuo. Poi un sostegno alla povertà, certo, ma incentivando e non scoraggiando i disoccupati a cercare lavoro, magari attraverso un aumento di tre, quattro miliardi del reddito di inclusione. Avrei lasciato perdere la riforma della Fornero e la flat tax, magari introducendo un più rigoroso regime di progressività fiscale che mi sembra faccia a pugni con la nuova Bibbia grillina dell’on. Siri. Attendiamo quel che dirà l’Europa, come alla lunga reagiranno i mercati, ma intanto, anche a prescindere da loro, mi pareva giusto scrivere quel che pensa l’Avanti.