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Congresso nazionale il 29-30 e 31 marzo

Il Consiglio nazionale del Psi ha stabilito, con voto quasi unanime (una decina tra contrari e astenuti su oltre 300 componenti presenti), di svolgere il congresso del partito alla fine di marzo del prossimo anno. Solo cinque sono stati i voti contrari al documento della segreteria. Evidente che si apre una fase nuova da adesso, da subito, per tutti noi. Il convegno degli amministratori (circa mille sono i consiglieri e assessori socialisti sparsi in tutto il paese, con due presidenti di provincia, Perugia e Imperia, e diversi sindaci, in comuni medi e piccoli) ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che sul piano amministrativo la comunità socialista è radicata, presente, attiva.

Come più volte ho sostenuto dalle colonne del nostro quotidiano, esistono altre due dimensioni da tutelare per noi, anzi se possibile da potenziare: quella storico-identitaria e quella editoriale. Lo faremo con sempre maggiore attenzione attraverso la Fondazione presieduta da Gennaro Acquaviva, attraverso l’Avanti e Mondoperaio, ma anche con pubblicazioni come la mia, “L’unità… storia dei divisioni, scissioni, espulsioni e sconfitte”, che da un lato narra la lunga odissea della sinistra italiana dal 1892 al 4 marzo di quest’anno, e dall’altro propone quattro temi di fondo per il rilancio di un moderno riformismo. Credo che il nostro congresso, collocato a cavallo tra quello del Pd e le elezioni europee, potrebbe diventare il trampolino di lancio di una nuova scommessa.

Nel mio intervento ho molto insistito, e spero che questo sia il tema del nostro congresso di primavera, sulla mancata rappresentanza politica di una ormai diffusa opposizione sociale. Da Roma a Torino, nella scuole, ormai anche in larghi strati di opinione pubblica, si diffonde l’esigenza di un nuovo soggetto politico, che il Pd non riesce a rappresentare, in grado di opporsi al governo dell’incompetenza, della cialtronaggine, del disastro incipiente. Non credo che il congresso del Pd, ma lo verificheremo, possa configurarsi come felice partenogenesi di un altro da sé. Se questo non avverrà qualcuno dovrà colmare questo vuoto. E noi, modestamente e senza presunzioni ridicole, a questo obiettivo dovremo dedicarci. Rinunciando anche alla nostra storia, identità, nome? Io penso di sì, perché la nostra anima non morirà solo se incarnerà in qualcosa che vada oltre noi. Noi che non rinunceremmo alla nostra comunità amministrativa, che anzi si sentirà più potenziata e protetta in un nuovo contenitore, alla nostra identità storica e alla nostra attività editoriale perché anzi saranno parte di un progetto ambizioso, abbiamo una chance proprio nell’azzeramento della situazione politica che é sotto i nostri occhi. Abbiamo intelligenza e capacità per contribuire alla nascita di un mondo nuovo. Non sprechiamole in inutili, anzi deleterie e ridicole dispute interne.