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Una Tosca credibile in un Focus Puccini

Una premessa. Evviva regista e scenografo che contrastano la moda imperante delle riletture in chiave moderna dei vecchi libretti, stravolgendo personaggi, inquadrando scene in epoche improbabili, violentando storie, situazioni, parole e perfino significati musicali dell’opera lirica. Evviva chi non ricorre a far morire Mimì in una stanza d’ospedale, Violetta di Aids, Lucia in una vasca da bagno dopo essersi tagliata le vene, chi non ha bisogno di iniettare a Don Giovanni eroina per tratteggiarne il carattere. Ne abbiamo viste di tutti i colori, fino al rimbombo di cannoni durante il Te deum della Tosca in Arena. Come se la Chiesa di Sant’Andrea della Valle fosse in procinto di essere conquistata dagli islamici. E potremmo continuare. Se Muti ha sentito l’esigenza, in una pubblica conferenza tenuta in teatro, di dire basta è perchè si é superato ogni limite e forse, come sempre accade quando viene oltrepassato il confine del buon senso, si inizia una fase di ripensamento e di ritorno al passato.

Accade nella pittura col riapparire della figura, dopo l’esaltazione di buchi, strappi, perfino escrementi, accade nella musica col ritorno alla melodia dopo l’epoca atonale, dodecafonica, elettronica, gestuale. Accade anche nella regia operistica, dove oggi non c’è nulla di più innovativo e rivoluzionario del tradizionale. Così, ambientata l’opera proprio dove l’aveva pensata Sardou, e cioe nel 1800, durante l’avanzata di Bonaparte in Italia, nel primo atto vediamo una Chiesa vera con Angelotti che sembra davvero sciupato, lui console della spenta repubblica romana, dopo il carcere, Cavaradossi che si mostra un pittore da chiesa e perfino Tosca nelle vesti della cantante. Complimenti dunque ad Andrea Vigni e a Dario Gessati per il coraggio. Tosca é opera che apre il Novecento, non solo nella storia, ma anche nella musica. Più ancora che in Bohème, l’opera più verista di Puccini, più che in Manon, dove gli impulsi post wagneriani si intrecciano con la sensibilità melodica dell’autore, Tosca é opera del Novecento. Gia in quell’inizio di fiati che annunciano la presenza, psicologicamente e anche psicanaliticamente, molto forte di Scarpia, c’è una forma espressiva nuova di un autore alla ricerca di nuove sonorità. Puccini fuoriesce dal verismo e dalla giovine scuola per costruirsi una personalità originale. Forse più ancora che nelle precedenti opere (tra una settimana sarà la volta de Le Villi, prima creazione del genio di Torre del lago) in Tosca si accordano un tessuto armonico moderno, denso di passaggi improvvisi di fiati e di violini, con melodie apprezzate e conosciute. Sopprattutto le tre: Recondita armonia, Vissi d’arte e E lucean le stelle. Ma ritenere il meglio di Tosca la presenza delle tre famose romanze o del duetto d’amore, con l’aria dei legni che Puccini ripropone con varianti per tutta l’opera come leit motiv (non solo wagneriano, lo troviamo anche in Verdi) dell’amore di Tosca e Mario, significa non averne compreso il valore, che sta proprio nella modernità del suo tessuto sinfonico e in particolare armonico. Ai suoi tempi non doveva essere scontato se perfino Giuseppe Verdi, che morirà l’anno dopo la prima rappresentazione di Tosca, invitò Puccini a non esagerare col sinfonismo. Siamo nell’epoca in cui l’orchestra prevale sul canto, anzi si autonomizza, se ne va per suo conto, non é più accompagnamento, ma direzione di marcia. E indicazione di situazioni spesso contrastanti. Mettiamoci nei panni di Puccini. Come avrebbe dovuto musicare il tema della fucilazione di Cavaradossi? Era reale o simulata? Doveva pur lasciare il dubbio visto che i due amanti erano convinti della finzione. Poteva scegliere una melodia drammatica nel caso optasse per mostrare l’evento ferale o frivola nel caso propendesse per la fucilazione simulata. L’autore compone un’aria allusiva, in cui non traspare né la prima né la seconda evenienza. Una musica da Così è se vi pare. Pirandelliana. Geniale. Ma veniamo alla critica. Il maestro Valerio Galli, alla direzione dei Pomeriggi Musicali di Milano, ha debuttato nel 2007 proprio in Tosca e ha saputo calarsi appieno nei colori e nelle sonorità dell’opera pucciniana. A mio parere ha giustamente alzato il registro orchestrale nelle parti di insieme, il Te deum, in taluni passaggi drammatici durante le sofferenze di Cavaradossi nel second’atto, forse poteva modularlo un po’ meno in taluni passaggi cantati dove la sovrappisizione orchestrale é apparsa eccessiva. Senza cercare l’ago nel pagliaio mi sono parsi non sempre accordatissini i fiati alla fine del primo atto. Vera protagonista della serata Charlotte-Anne Shipley, nelle vesti di una Floria Tosca, gelosa, tormentata, innamorata, omicida e suicida per amor del suo Mario. Come spesso avviene la difficoltà di questa parte sta nell’interpretare gli accenti drammatici, le emissioni forti,  con quelli più ripiegati, dolci, sensuali tipici del soprano lirico. La Shipley, anche per connotazioni corporee, pare per ora più avvezza ai primi che ai secondi. Tuttavia, la giovane cantante, ha meritato i consensi della serata, sorprendendo anche per la sua sicurezza interpretativa. Il sostituto del tenore titolare Luciano Ganci, indisposto, il giivane Azer Zada, non ha fatto rimpiangere l’assente. Intendiamoci, il difetto di emissione, con tanto di intervallo tra registri medi e acuti, c’è tutto. Purtuttavia la sua interpretazione, colorata di mezze voci gradevoli e di un fraseggio sicuro, é apparsa convincente. Troppe volte abbiamo dovuto subire l’invadenza di tenori squillanti e sgraziati. Per una volta ne abbiano apprezzato uno di grazia. Migliore del trio, superbo per interptetazione, lo Scarpia di Angelo Veccia, finalmente in voce. Alle spalle un inizio di carriera da basso e un padre tenore, Veccia ha saputo, nella sua trasformazione in baritono, acquisire un registro alto assai apprezzabile forse perdendo un po’ quelli più gravi. Il suo Scarpia aristocratico e sadico, con quel veleno erotico che lo domina, è stato non solo credibile, ma anche di qualità scenica e vocale assoluta. Tosca é il primo piatto di un progetto Puccini che la direzione dei Teatri di Reggio Emilia, assieme al consulente musicale, hanno preparato. Un Focus Puccini che propone, oltre alla già citata Le Villi, anche una conferenza internazionale sull’autore toscano e un concerto. Rendere omaggio a Puccini, forse l’ultimo grande operista italiano, é un merito e un vanto. Reggio Emilia si é posta, in questo, all’avanguardia.
Mauro Del Bue