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Perché il muro crollò all’incontrario

Achille Occhetto, in una recente intervista,  si é autoincensato riconoscendosi il merito di aver compreso che la caduta del Muro era un nuovo inizio non solo del suo Pci, ma di tutti. Che questo sia stato vero é fuori discussione. Che Occhetto l’abbia compreso per stato di necessità (era per il Pci indispensabile cambiare un nome che non portava più nessuno in Europa) o per personali capacità di leggere il futuro, non saprei. Resta il fatto che Occhetto lo comprese e con lui l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, altri invece no. Parlo di Andreotti, Forlani e Craxi. Compresero le conseguenze di quella svolta Martelli e anche Formica che si agitarono alla ricerca di nuovi approdi per il Psi. Non lo comprese Giuliano Amato al quale, nel giorno della Bolognina, ci rivolgemmo Raffaelli ed io, con sguardo preoccupato e incuriosito, per avere risposte di fronte a un cambiamento così radicale della sinistra italiana, ma riscontrando una certa indifferenza.

Quel che Occhetto non capì era il senso della storia, che non si può tradire, non si può aggirare. E il senso di quella storia segnava la fine di un tragica illusione chiamata comunismo e la vittoria del modello socialista democratico al quale neppure Berlinguer si era voluto piegare assumendo come dogma la cosiddetta terza via, tra comunismo e socialdemocrazia, quasi i due mondi fossero equivalenti. Gli sfuggì il rapporto tra tattica e strategia. E cioè la necessità di non finire, come si diceva allora, in braccio a Craxi e il percorso politico e ideale che col partito di Craxi avrebbe dovuto incrociarsi pena la sua precarietà e debolezza. Perché Occhetto disse no all’unità socialista in nome di quell’andare oltre che non era richiesto a nessun altra formazione socialista e socialdemocratica europea? Perché chiese l’iscrizione all’Internazionale socialista rivendicando una identità socialista in Europa e non in Italia? Dove poteva portare mai questa inestricabile contraddizione, tutta studiata per non dare ragione a chi ce l’aveva?

E’ vero. Poi arrivò Tangentopoli e azzerò le ragioni e i torti. Anzi finí per dare ragione a chi aveva avuto torto e torto a chi aveva avuto ragione. Questo bastone nelle ruote della storia é la conseguenza più sconvolgente di un’operazione che doveva solo mirare a colpire la corruzione. Così i calcinacci del muro non sono finiti addosso ai comunisti italiani, che pure si erano distinti e che con Berlinguer avevano rotto con quei paesi ma che con essi condividevano ancora una storia e un nome, ma finirono per travolgere chi comunista non era mai stato. Questo anche per insipienza di questi ultimi, per quell’incapacità di fare i conti con gli strappi della storia, per quel loro rassegnato assuefarsi alla politique politicienne. Questo riguarda anche il Psi. Anche il Psi non seppe comprendere che la fine del comunismo avrebbe travolto l’intero sistema politico italiano. Non avvertì che la fine del Pci avrebbe segnato la fine di un sistema che si basava sulla conventio ad exludendum, sull’esistenza del fattore K. Che tutto questo avrebbe segnato, in fondo, anche la nostra fine.

La Lega era stato il primo segnale. L’affermazione del nuovo partito di Bossi, prima solo in Lombardia e poi in tutto il Nord, segnalava una forte discontinuità e rappresentava la fine del voto “turandosi il naso” come scrisse Montanelli. Se la paura del comunismo era svanita ognuno poteva cominciare a votare per interesse, e al nord esplose la questione fiscale. Il secondo effetto della caduta del muro furono i referendum Segni sulla legge elettorale e prima sulla preferenze, che mai si sarebbero svolti senza quella svolta epocale. La terza conseguenza fu Tangentopoli. Mai si sarebbero sviluppate quelle indagini contro i partiti, sarebbe meglio precisare “contro alcuni partiti” senza la fine della contrapposizione Ovest-Est.

Resta il fatto che la “magica” intuizione di Occhetto, a cui va riconosciuto il merito della svolta e della rivoluzione di novembre, doveva essere semplice e automatica equazione politica di tutti. Non fu cosi. Tuttavia l’errore di Occhetto e dei suoi successori D’Alema e Veltroni, di continuare ad andare oltre, con spinte confuse verso il kennedismo, il terzomondismo, il cattocomunismo, l’obamismo, perfino il liberismo e chi più ne ha più ne metta, ha determinato la creazione di un partito senza identità, dunque senza attrazione, senza spirito di appartenenza (come ha scritto D’Alema: “non ho avvertito alcuna emozione, come invece era successo quando superammo il Pci, al momento di lasciare il Pd”), senza poter diventare partito a vocazione maggioritaria e restando, oggi più che mai, partito a destinazione minoritaria. Quanto della debolezza della sinistra italiana é frutto di quell’errore? Son passati trent’anni e Occhetto non é da tempo parte del partito che ha fondato, successivamente anche D’Alema lo ha lasciato e si é confinato in un eremo politico, mentre Veltroni si é dato al cinema. Chi si oppose alla svolta in nome della continuità comunista é praticamente svanito assieme a una nostalgia e a un’illusione. Non saprei dire chi sia più vivo e più morto, tra noi, oggi.