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Craxi, dal rogo alla rivalutazione

21 Dicembre 2019 460 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ci son voluti vent’anni per leggere e ascoltare cose equilibrate e giuste sul leader socialista. Da destra e, per la prima volta, da sinistra. Che Craxi abbia avuto più nemici a sinistra che a destra lo scrive opportunamente Marcello Veneziani in un articolo in cui si mette in evidenza il messaggio ambivalente di Craxi e del suo Psi. Non c’è alcun dubbio che in quegli anni il Psi era un partito di sinistra che attirava molti voti da destra. Solo il New Labour di Tony Blair può essere paragonato al Psi craxiano e a quel che Bruno Pellegrino ha voluto definire “l’eresia riformista”. La sua riscoperta del patriottismo (Craxi iniziò la relazione congressuale di Palermo 1981 citando Giuseppe Garibaldi del quale era un appassionato collezionista di reperti), tanto più concretamente valorizzato con la decisione assunta a Sigonella, la sua concezione del fascismo come fenomeno storico (mi impressionò quando mi prese da parte nel 1974, io ero un giovanissimo segretario della Fgsi di Reggio Emilia, per confessarmi che le stragi erano terroriste, perché il fascismo è stata “una cosa seria”), la sua decisione di superare il cosiddetto arco costituzionale invitando Almirante alle consultazioni del suo governo, che gli attirò le simpatie di diversi elettori del Msi, la strategia del Lib-Lab che portò nelle liste del Psi molti liberali, a cominciare da Enzo Bettiza, sono tutti eventi che opportunamente Veneziani ricorda. Dove sbaglia è nel paragone con Crispi e Mussolini, perché Craxi, contrariamente a quei due, era un democratico convinto, non un presidente come Crispi che mise fuori legge il Psi e la sua stampa e come Mussolini che chiuse a chiave in un cassetto tutte le libertà.

Tuttavia è vero che la rivoluzione di Craxi ha fatto, fino ad ora, più presa a destra che a sinistra. Con le eccezioni che Veneziani peraltro ricorda e che sono quelle dell’Msi finiano. Non dimentichiamo le chiassate dei giovani missini davanti alla sede di via del Corso, che portarono all’aggressione a Ugo Intini, e neppure il fanatico appoggio a Mani Pulite da parte del gruppo dirigente di quel partito, con la sola eccezione di Giulio Maceratini. Né si può dimenticare l’atteggiamento della Lega, il cappio di Orsenigo, il comportamento di Feltri che sull’Indipendente lanciava la caccia al cinghialone Craxi. Tuttavia Berlusconi, che ereditò la maggior parte dell’elettorato socialista, non disdegnò mai la sua amicizia con Craxi anche se spesso la sposava con spinte populiste che andavano da ben altra parte, come l’offerta a Di Pietro di un ministero nel suo primo governo.  E’ inutile negare, però, che Forza Italia, sarà anche per il condizionamento dei molti ex socialisti, fu l’unico partito a riconoscere i meriti di Craxi e poi, solo dopo il coinvolgimento giudiziario di Berlusconi, anche la sua persecuzione giudiziaria.

Finalmente, erano pochissime le eccezioni, quelle di Macaluso, di Caldarola e di Bettini su tutte, anche a sinistra qualcosa si è finalmente mosso. Comincio da Matteo Renzi, un leader politico che all’epoca di Mani Pulite aveva meno di vent’anni e che non ha mai fatto parte del Pci e della sua storia. Le sue dichiarazioni al Senato e il suo riconoscimento che Craxi aveva ragione col suo discorso del luglio 1992, quando chiese a tutti i partiti di riconoscere la loro comune correità nel reato di finanziamento illecito, sono poi state ulteriormente ribadite durante la sua recente intervista a Minoli in cui si è soffermato anche sul valore strategico del messaggio politico craxiano. Anche Goffredo Bettini, l’anima del Pd, ieri veltroniano e oggi zingarettiano, ha avuto modo e non da oggi di ribadire gli stessi concetti. E ha aggiunto che quella del Pds del 1992 fu una posizione povera (lo aveva riconosciuto anche Violante). Perché anche l’ex Pci faceva parte del sistema e i suoi finanziamenti che derivavano in massima misura dalle cooperative erano finanziamenti illegittimi. Aggiungo io un particolare. A Reggio Emilia esisteva un patto tra Pci e Psi in base al quale tutti i finanziamenti che derivavano dal movimento cooperativo, in nero, dovevano essere suddivisi tra Pci (al 70%) e Psi (al 30%). I socialisti dovevano essere processati da chi era più di due volte “reprobo”?  Un paradosso, un’ipocrisia.

Anche il sindaco di Milano Sala, che pure non se la sente di intestare una via a Craxi, ha annunciato la promozione di un convegno sulla sua figura. Credo che i socialisti che hanno fatto parte del Psi craxiano possano oggi guardare con parziale soddisfazione a queste nuove posizioni. Soprattutto quei pochi (perché erano veramente pochi nel Psi del 1992-94, anch’esso infatuato da furore giustizialista, altro che….) che vollero difendere Craxi dall’azione di Di Pietro e compagnia. Il sottoscritto, che lo aveva contestato apertamente sul piano politico fino al suo primo avviso di garanzia, poi lo ha difeso come ha potuto votando alla Camera contro le autorizzazioni a procedere (e su questo firmando la sua condanna alla bocciatura dei tavoli progressisti del 1994) e poi andandolo a trovare due volte ad Hammamet. A questo punto in tanti diranno che tutto questo non basta per rilanciare un partito e questo è vero. Ma fare giustizia sul caso Craxi e sulla tragedia che ha colpito non solo lui e la sua famiglia, ma tutti i socialisti italiani, aiuta, e non poco. “La storia prima o poi rimette tutte le cose al posto giusto”, era solito dire Bettino. Con vent’anni di ritardo questo sta finalmente avvenendo. Forse è tardi per riparare a un torto. E’ tardi per risarcire tutti i socialisti perseguitati per ragioni politiche. E’ tardi. Troppo. Tuttavia, e lo scrivo con tanta amarezza, dopo tanti anni di discriminazioni e di sofferenze, meglio tardi che mai.

Ci son voluti vent’anni per leggere e ascoltare cose equilibrate e giuste sul leader socialista. Da destra e, per la prima volta, da sinistra. Che Craxi abbia avuto più nemici a sinistra che a destra lo scrive opportunamente Marcello Veneziani in un articolo in cui si mette in evidenza il messaggio ambivalente di Craxi e del suo Psi. Non c’è alcun dubbio che in quegli anni il Psi era un partito di sinistra che attirava molti voti da destra. Solo il New Labour di Tony Blair può essere paragonato al Psi craxiano e a quel che Bruno Pellegrino ha voluto definire “l’eresia riformista”. La sua riscoperta del patriottismo (Craxi iniziò la relazione congressuale di Palermo 1981 citando Giuseppe Garibaldi del quale era un appassionato collezionista di reperti), tanto più concretamente valorizzato con la decisione assunta a Sigonella, la sua concezione del fascismo come fenomeno storico (mi impressionò quando mi prese da parte nel 1974, io ero un giovanissimo segretario della Fgsi di Reggio Emilia, per confessarmi che le stragi erano terroriste, perché il fascismo è stata “una cosa seria”), la sua decisione di superare il cosiddetto arco costituzionale invitando Almirante alle consultazioni del suo governo, che gli attirò le simpatie di diversi elettori del Msi, la strategia del Lib-Lab che portò nelle liste del Psi molti liberali, a cominciare da Enzo Bettiza, sono tutti eventi che opportunamente Veneziani ricorda. Dove sbaglia è nel paragone con Crispi e Mussolini, perché Craxi, contrariamente a quei due, era un democratico convinto, non un presidente come Crispi che mise fuori legge il Psi e la sua stampa e come Mussolini che chiuse a chiave in un cassetto tutte le libertà.

Tuttavia è vero che la rivoluzione di Craxi ha fatto, fino ad ora, più presa a destra che a sinistra. Con le eccezioni che Veneziani peraltro ricorda e che sono quelle dell’Msi finiano. Non dimentichiamo le chiassate dei giovani missini davanti alla sede di via del Corso, che portarono all’aggressione a Ugo Intini, e neppure il fanatico appoggio a Mani Pulite da parte del gruppo dirigente di quel partito, con la sola eccezione di Giulio Maceratini. Né si può dimenticare l’atteggiamento della Lega, il cappio di Orsenigo, il comportamento di Feltri che sull’Indipendente lanciava la caccia al cinghialone Craxi. Tuttavia Berlusconi, che ereditò la maggior parte dell’elettorato socialista, non disdegnò mai la sua amicizia con Craxi anche se spesso la sposava con spinte populiste che andavano da ben altra parte, come l’offerta a Di Pietro di un ministero nel suo primo governo.  E’ inutile negare, però, che Forza Italia, sarà anche per il condizionamento dei molti ex socialisti, fu l’unico partito a riconoscere i meriti di Craxi e poi, solo dopo il coinvolgimento giudiziario di Berlusconi, anche la sua persecuzione giudiziaria.

Finalmente, erano pochissime le eccezioni, quelle di Macaluso, di Caldarola e di Bettini su tutte, anche a sinistra qualcosa si è finalmente mosso. Comincio da Matteo Renzi, un leader politico che all’epoca di Mani Pulite aveva meno di vent’anni e che non ha mai fatto parte del Pci e della sua storia. Le sue dichiarazioni al Senato e il suo riconoscimento che Craxi aveva ragione col suo discorso del luglio 1992, quando chiese a tutti i partiti di riconoscere la loro comune correità nel reato di finanziamento illecito, sono poi state ulteriormente ribadite durante la sua recente intervista a Minoli in cui si è soffermato anche sul valore strategico del messaggio politico craxiano. Anche Goffredo Bettini, l’anima del Pd, ieri veltroniano e oggi zingarettiano, ha avuto modo e non da oggi di ribadire gli stessi concetti. E ha aggiunto che quella del Pds del 1992 fu una posizione povera (lo aveva riconosciuto anche Violante). Perché anche l’ex Pci faceva parte del sistema e i suoi finanziamenti che derivavano in massima misura dalle cooperative erano finanziamenti illegittimi. Aggiungo io un particolare. A Reggio Emilia esisteva un patto tra Pci e Psi in base al quale tutti i finanziamenti che derivavano dal movimento cooperativo, in nero, dovevano essere suddivisi tra Pci (al 70%) e Psi (al 30%). I socialisti dovevano essere processati da chi era più di due volte “reprobo”?  Un paradosso, un’ipocrisia.

Anche il sindaco di Milano Sala, che pure non se la sente di intestare una via a Craxi, ha annunciato la promozione di un convegno sulla sua figura. Credo che i socialisti che hanno fatto parte del Psi craxiano possano oggi guardare con parziale soddisfazione a queste nuove posizioni. Soprattutto quei pochi (perché erano veramente pochi nel Psi del 1992-94, anch’esso infatuato da furore giustizialista, altro che….) che vollero difendere Craxi dall’azione di Di Pietro e compagnia. Il sottoscritto, che lo aveva contestato apertamente sul piano politico fino al suo primo avviso di garanzia, poi lo ha difeso come ha potuto votando alla Camera contro le autorizzazioni a procedere (e su questo firmando la sua condanna alla bocciatura dei tavoli progressisti del 1994) e poi andandolo a trovare due volte ad Hammamet. A questo punto in tanti diranno che tutto questo non basta per rilanciare un partito e questo è vero. Ma fare giustizia sul caso Craxi e sulla tragedia che ha colpito non solo lui e la sua famiglia, ma tutti i socialisti italiani, aiuta, e non poco. “La storia prima o poi rimette tutte le cose al posto giusto”, era solito dire Bettino. Con vent’anni di ritardo questo sta finalmente avvenendo. Forse è tardi per riparare a un torto. E’ tardi per risarcire tutti i socialisti perseguitati per ragioni politiche. E’ tardi. Troppo. Tuttavia, e lo scrivo con tanta amarezza, dopo tanti anni di discriminazioni e di sofferenze, meglio tardi che mai.

 

 

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