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Un diavolo innocente (in morte di Germano Nicolini)

Se ho recato un piccolo contributo, in nome dei principi di verità e di giustizia, per sollevare da un colpevole torpore responsabilità politiche e materiali nei delitti dell’immediato dopoguerra, e nel contempo per reclamare l’innocenza di chi era stato condannato ingiustamente, di tutto questo ero e resto personalmente orgoglioso. Senza il cosiddetto “Chi sa parli” di Otello Montanari probabilmente, anzi certamente, Germano Nicolini sarebbe ancora il mandante dell’omicidio di Don Pessina ed Egidio Baraldi quello del capitano Mirotti. Me lo disse convinto lo stesso Nicolini una volta, mentre ci sorbivamo un caffè a casa sua, citando una massima latina: oportet ut scandala eveniant. Era proprio necessario quel passaggio, frutto del cambiamento epocale segnato dal crollo del comunismo, per arrivare ai processi di revisione che dichiararono l’innocenza dell’uno e dell’altro, sconfissero l’omertà e la logica delle ragioni di partito e anche quella della ricerca del colpevole qualsiasi da parte di altre istituzioni. Da noi il dopoguerra é finito nel 1989 e l’innocenza di Nicolini e Baraldi, frutto del coraggio dello scandaloso Otello, ma anche della coerente determinazione di uomini come Vincenzo Bertolini, é anche un premio alla politica che cerca il significato di una storia. E non si rassegna alle cronache scontate. Piango oggi Germano, il Diavolo, la sua tetragona determinazione, il suo mai rassegnato volo verso l’innocenza. Quasi 101 anni di vita vissuta, intensamente, con occhi penetranti come quelli di un bambino. Lo vidi per la prima volta alla metà degli anni ottanta a Correggio. Con la barbetta e la voce acuta concionava dinnanzi a una bocciofila che presiedeva. Chissà perché pareva avere assunto un vago aspetto mefistofelico. Paradossalmente era proprio stato il gioco delle bocce a salvarlo dall’accusa di essere l’esecutore di un delitto retrocedendolo, incredibilmente, al ruolo di mandante. Nicolini é stato un uomo che ha sofferto a testa alta, senza mai piegarsi alle logiche beghine di partito. Il suo nome resterà quello di un partigiano temerario e di un innocente a cui solo un evento storico e il coraggioso intervento di pochi hanno saputo dare giustizia. Appartiene a un’epoca? A mio avviso no. Appartiene a tutte le epoche. A quelle dei perseguitati che seppero sempre mantenere l’orgoglio della loro innocenza. E alla fine prevalsero.

Mauro Del Bue