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L’Aida di Pippo Baudo

Bisogna, per l’occasione, lodare la Raitv che sul terzo canale ha messo in onda Aida dall’Arena di Verona, dopo Cavalleria e Pagliacci. L’opera, presentata da Pippo Baudo, con stile e rispetto, é stata salutata da applausi. Affascinante la scenografia. Quella notte di luna in riva al Nilo del terzo atto suscita emozioni. Il palcoscenico ha messo in evidenza su schermi giganti immagini tratti dal museo egizio di Torino. All’Arena non poteva mancare l’effetto gigantesco dell’opera, eliminando i tradizionali elefanti di dubbio gusto e anche le processioni barocche zeffirelliane, ma puntando tutto sul balletto e sul coro che si inseguono circondati da figuranti che portano la mascherina. Un esercizio per ricordare la pandemia o per mostrare gli orpelli mediorientali? L’orchestra, diretta da Diego Matheuz, ha oscillato su poli opposti rispettando il carattere duale dell’opera imperniata sulla guerra e sul trionfo, da un lato, e sull’amore di Radames e Aida, dall’altri. Amore impossibile per un capo guerriero dell’esercito egizio e una schiava etiope. L’orchestra ha alternato tinte forti a linee di melodicità intensa. Ha affrettato i tempi? Ascoltare l’Aida di Toscanini e Muti per ravvedersi. Passando in rassegna i cantanti una citazione particolare merita l’Amneris di Anita Rachvelishvili, vocalmente inappuntabile. Poi Salsi e Pertusi, nella parte di Amonasro e del Faraone, bravi anche se in ruoli non da protagonisti. Ma da ricordare che Amonasro é il motore dell’opera. Corretto il re interpretato dall’orientale Simon Im. L’Aida di Angela Meade si rivela convincente nell’estensione vocale, meno nei pianissimi e nei fraseggi. Ha concluso l’aria “Oh Patria mia” non con un filato, ma con un urlo. Duo femminile da pesi massimi? Ma l’opera si ascolta, soprattutto. Basti pensare alla Caballé e Pavarotti. Deludente il Radames di Jorge de Leon, che non solo chiude “Celeste Aida” con un si bemolle in voce e non con un pianissimo raccomandato da Verdi, negli anni settanta e ottanta usava così (ma Bergonzi lo filava), ma stona maledettamente nel terz’atto e spinge sempre anche nel duetto finale che va cantato con un fil di voce. Abbiamo capito che la voce da lirico spinto ce l’ha, ma ha bisogno di dimostrarlo sempre? E’ la meravigliosa aria giocata con una settima maggiore che Verdi praticamente lancia nel melodramma nel 1871 e che chiude l’opera coniugando la morte con un’intensa malinconia. E spegnendo i clamori per la vittoria e le preghiere della generosa Amneris nel tramonto di due vite sacrificate nel fondo della fatal pietra.