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Il risiko del Quirinale

E’ di moda adesso. Assomiglia al gioco a eliminazione dei dieci piccoli indiani di Agatha Christie. E non me rimase più uno. D’altronde come succede nei Conclavi anche per quanto riguarda l’elezione dei presidenti della Repubblica chi entra da favorito difficilmente esce presidente. Favorito, anzi l’unico che potrebbe farcela alla prima votazione, é il presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma quasi tutti, adesso anche attraverso un’eloquente dichiarazione lo stesso Matteo Salvini, lo invitano a declinare l’offerta. Draghi sta bene dov’é. Molto, a giudicare dalla fiducia che il nostro paese sta riscuotendo in Europa e nel mondo, che costituisce la prima causa del buon andamento della nostra economia.

Letta é meno esplicito. Ma non credo desideri le elezioni anticipate, conseguenza probabile di un trasferimento di Draghi al Colle. Ben più decisi sono Renzi e Calenda che vorrebbero confermare Draghi anche oltre il 2023 e caratterizzare su questo la loro (unita o no) campagna elettorale. Dunque Draghi non può correre rischi oltretutto in una situazione balcanizzata del Parlamento con gruppi e gruppuscoli che sommati assieme costituiscono una delle forze maggiori e che sarebbero disponibili a tutto tranne che a vedere troncata di un anno la Legislatura. Oltre Draghi hic sunt leones? Candidati cercasi. Il più idoneo sarebbe Giuliano Amato. Ma quest’ultimo é il più idoneo da 15 anni e non é mai stato eletto. Che sia la volta buona, alla faccia di Travaglio e dei suoi deliri antisocialisti, noi non possiamo che augurarcelo. Più defilata la candidatura di Casini, meno accreditata sul piano del merito, ma più sul piano anagrafico, quella di Berlusconi (sarebbe un utile schiaffo alle malefatte di questa magistratura) che non ha i numeri sufficienti e neanche la necessaria convinzione di chi la propone. Resta sullo sfondo la Cartabia, che oltre alla competenza (é stata presidente della Corte) si porta il vantaggio dell’essere donna. La prima in questo incarico. Poi, com’é capitato spesso, può uscire un nome a sorpresa in grado di sbloccare una situazione ingarbugliata. Per adesso tutti i leader politici sostengono che il presidente dovrà trovare un largo consenso da parte dei grandi elettori. La Meloni ha parlato di un patriota, come se avesse lei la patente da attribuire o negare a qualche candidato. Draghi non é un patriota? E Amato e tutti quelli citati? Patriota non significa sovranista. Se no la Meloni avrebbe ristretto e di molto il campo. A sinistra si parla di un Pertini che non c’é. Ma indubbiamente nelle prime votazioni o si confronteranno i soliti candidati di bandiera o si giocherà la candidatura di largo consenso. Poi dalla quarta votazione, lì sì, che si verificherà la buona fede di ciascuno. Perché basterà la maggioranza semplice e qualche tentazione a forzare la mano potrebbe far capolino. In quel caso la candidatura Draghi potrebbe riscontrare qualche imprevedibile consenso come scudo alle avventure da 51%.