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Alleanze spezzate

Lo scrive bene stamani sul Corriere Angelo Panebianco. Le attuali alleanze, le due che pare si fronteggeranno nelle prossime elezioni col Rosatellum, saranno entrambe divise, anzi lacerate, sulla politica estera. Non sulla Tav o sulla Tap, non sul ponte di Messina, ma sulle posizioni da assumere in merito alle vicende internazionali, la convergenza sulle quali era ritenuta fondamentale fino alla caduta del Muro e alla fine del comunismo.

Dopo l’89, in effetti, la politica estera pareva aver alleggerito il suo grado di condizionamento sulla politica interna, anche se rispetto al processo di integrazione europea le posizioni di ciascuno, alleggerite dai pochi passi avanti compiuti, apparivano tutt’altro che marginali. La situazione scaturita dall’aggressione russa all’Ucraina ha rilanciato la politica. Non sui mezzucci per conquistare potere o strapuntini di potere. Ma sui grandi ideali di libertà e di civiltà. L’Occidente, e in esso l’Europa, attaccati da Sud dal terrorismo islamico, sono oggi minacciati da Est dal putinismo. Quest’ultimo mette in discussione apertamente il nostro modo di vivere proprio come l’islamismo, contesta la nostra idea di democrazia (Putin ha rilanciato la lotta allo stato liberaldemocratico e vi ha fatto eco l’ungherese Orban) e tende a sfidare col suo modello autoritario e violento l’equilibrio pacifico raggiunto e il diritto internazionale. In Italia si allarga il fronte putiniano, l’insensibilità del quale verso il nostro assetto democratico é da tempo palese. Basti pensare alla contestazione della democrazia rappresentativa da parte grillina. Sovranisti della Lega e populisti dei Cinque stelle hanno rispolverato una vecchia convergenza sulle armi da non inviare a Kiev ai quali pare (perché quando si parla del cavaliere il pronunciamento é sempre sub judice) aver dato il suo consenso lo stesso Berlusconi. Queste posizioni mettono in risalto le contraddizioni di entrambi gli schieramenti visto che oggi la politica estera, come era ieri l’altro, s’é affacciata di nuovo come discriminante. Se non si vuole ingannare l’elettorato entrambi i poli devono dire chiaramente che rapporto l’Italia intende stabilire con la Ue, con la Nato, che giudizio propone sulla guerra in Ucraina, che pace intende perseguire e non solo. Non credo sia facile e non penso che una volta terminato il conflitto armato tutto ritorni d’incanto come prima. Enrico Letta riuscirà mai a conciliare la sua ferma condanna dell’aggressione russa, e la sua altrettanto indiscutibile attiva solidarietà con la resistenza ucraina, con i tentennamenti, i mal di pancia, i dietrofront di Conte? E quest’ultimo, come intende unificare la sua posizione con quella altrettanto condivisibile del suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio? Ma ve l’immaginate solo un documento sull’Ucraina redatto da entrambi? E pensate, d’altro lato, che sia mai possibile affinare una posizione che combini l’atlantismo aperto della Meloni con le reticenze di Salvini e di Berlusconi? Prendiamo atto che il bipolarismo a cui si tende, dopo l’elevamenti a tre delle ultime elezioni, si é spezzato sui confini ucraini. E che non si possono comporre alleanze in grado di governare con un minimo di credibilità. L’ideale sarebbe prenderne atto e approvare subito una nuova legge elettorale proporzionale in cui ognuno sia chiamato solo a rispondere di se stesso. Oltretutto sarebbe, questo, il modo di offrire una chance fondata alla prosecuzione della presidenza Draghi, la migliore offerta che l’Italia può esibire al mondo. E invece difficilmente questo avverrà e prevarranno ancora alleanze obbligatorie per legge, programmi mediati e illeggibili, posizioni ambigue. E questo sarà frutto di un sistema politico sempre più impazzito.