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Flop e flip

Sono diversi i motivi del fallimento dei cinque referendum sulla giustizia. Mi pare che il più rilevante sia il minore senso civico degli italiani rispetto a quello stesso degli anni settanta e ottanta. Allora, si votasse per l’aborto ma anche per la responsabilità civile dei magistrati e per l’abolizione della commissione inquirente, temi non proprio semplici da sviscerare, si riteneva il l’esercizio elettorale un dovere democratico.

E ci si recava alle urne anche contenti di poter decidere direttamente come cittadini, certo anche e soprattutto su indicazione dei partiti, veri strumenti di educazione e di sensibilizzazione sociale. Non parlo dell’89 per cento che votò al referendum abrogativo della legge Fortuna sul divorzio il 12 maggio del 1974, ma anche del 65% che votò sulla legge Reale (davvero gli italiani ne conoscevano il testo?) nel 1978. Parlo anche dei referendum costituzionali, i tre più rilevanti sulla riforma del Titolo  quinto voluta dall’Ulivo, sulla cosiddetta Devolution di bossiana memoria e sulla riforma di Renzi. Davvero i cittadini conoscevano bene i testi di queste innovazioni costituzionali? Ne dubito. Quella bocciata nel dicembre del 2016 non ha visto alcun partito o giornale indicare l’astensione e si é trasformata in un referendum sul governo: per questo non fa testo. Il secondo motivo é il silenzio elettorale, un silenzio assoluto, eclatante. Mai prima di oggi, sormontati dal clamore per l’esplosione di una guerra ai confini con l’Europa e reduci dai drammi di una pandemia forse al tramonto, i referendum su cinque quesiti importanti per la vita di ciascuno sono stati ignorati (quando non palesemente falsificati) da tutto il mondo dell’informazione. Ciò ha costituito un precedente non trascurabile per il democratico esercizio di un diritto costituzionale. Ma ce n’é un terzo, ovviamente, che deve spronarci a modificarne l’uso. Ovvio che sia meglio concentrare i quesiti a poche decisive domande chiedendoci anche se non sia il caso di abbassare il quorum per la loro validazione. In fondo oggi eleggeremo sindaci in elezioni prive della maggioranza assoluta degli aventi diritto, mentre già tale maggioranza non é richiesta per i referendum confermativi. In un’Italia sbalestrata e squilibrata da una comunicazione impazzita, in un’Italia che segue ogni volta chi urla più forte, in un’Italia, unico caso in Europa, dove non esistono più i partiti storici e che vota ad ogni elezione, dal 1994, per le opposizioni e contro i governi, ci mancava il deserto di una comunicazione inesistente. Forse esagero. Ma la casa barcolla. Il referendum ha fatto flop ma le elezioni comunali han fatto flip. La democrazia italiana non se la passa per niente bene.