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Tre effetti di una scissione

La scelta di Di Maio, come abbiamo scritto nell’editoriale precedente, non poteva essere diversa. E il nostro ministro degli Esteri l’ha compiuta annunciando la formazione dei gruppi di Insieme per il futuro, composti per ora da una sessantina di parlamentari. L’analisi di Di Maio rappresenta una presa di distanza netta dalle radici e dalle suggestioni pentastellate.

Questo non é avvenuto ieri. Da mesi Di Maio, in qualità di ministro degli Esteri, svolge un’azione di fermo sostegno alla ragioni del popolo e del governo ucraino, vittima di una brutale aggressione, nell’ambito di una solidarietà fattiva con l’Unione europea e con la Nato. Ieri Di Maio questo ha sottolineato opponendosi alla linea di Conte, strumentale, di contestare la politica del governo sull’invio delle armi. Strumentalità doppia perché usata anche a fronte dell’aumento delle spese militari giacché fu il governo Conte ad autorizzare un esborso per questo comparto da elevare al 2% del Pil, come richiesto dagli Usa. Ma la scissione di Di Maio non ha solo una motivazione di politica estera. Il ministro degli Esteri ha messo KO tutte le ragioni del movimento di Grillo, fondato con un Vaffa. Dalla consapevolezza che uno non vale uno e che ci vogliono preparazione ed esperienza, alla sconfessione esplicita di ogni populismo. Ma ciò che conta sono le conseguenze della sua scelta. Ne possiamo intravvedere soprattutto tre. La prima riguarda la crisi evidente, politica ed elettorale dei Cinque stelle alla quale Di Maio ha dato il colpo della staffa. Una decadenza vicina al tramonto. Colpiti da una dissociazione a sinistra, quella di Di Battista, contrario all’appoggio al governo Draghi, oggi i grillini sono semidistrutti dalla scissione di Di Maio, sulla sponda governista. Bel problema per Conte chiamato a decidere se continuare a far parte di un governo che al suo apice conta un ministro degli Esteri, prima in sua rappresentanza e oggi suo avversario. I Cinque stelle sopravvissuti resteranno al governo e avranno contro sia Di Maio sia Di Battista, o passeranno all’opposizione (non sono più la prima forza politica in Parlamento) per tentare di ricucire con i fuoriusciti dall’altro lato? La seconda conseguenza riguarda gli effetti che questa scissione provocherà nella futura coalizione di centro-sinistra. Il campo largo di lettiano conio non é mai esistito. Se il Pd proponeva un accordo coi Cinque stelle si sentiva rispondere da Azione, Più Europa e Italia viva: “coi Cinque stelle mai”. Il campo di Letta era per questo molto stretto e per di più perdente dall’inizio. Adesso é evidente che la scissione di Di Maio quel campo é destinato ad allargarlo. A meno che Calenda non scambi i giudizi personali con le valutazioni politiche. Ma non credo sia possibile, adesso. Terza conseguenza. La parola, anzi la scelta, é ora del Pd. Preferisce rintanarsi in un’ottuso blocco coi Cinque stelle di Conte, ormai in decadenza, oppure optare per un accordo che da Di Maio arrivi fino a Renzi? Ovvero. Preferisce perdere le elezioni o tentare di vincerle con una coalizione che é destinata a proporre la continuità di Mario Draghi alla guida del Paese e magari a far breccia anche nel centro-destra dividendolo, se non al vertice, certo nell’elettorato? Perché Salvini e la Meloni attaccano Di Maio? Per antipatia? Per gusto? No certo. Perché temono che tutto questo si realizzi e che il centro-destra, dato da tutti come vincente, le elezioni rischi di perderle. A buon intenditor…