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Substitution

22 Luglio 2024 160 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Dunque avanti un altro. O forse un’altra. Kamala Harris ha la benedizione di Biden, ma ancora non quella del tandem Obama-Pelosi, il più deciso a pretendere la substitution del presidente candidato. Che Biden fosse un candidato indebolito dagli anni e, forse, dalla malattia lo si vedeva da tempo. Ma la dimostrazione di una sua palese difficoltà a competere con Trump si é chiaramente avvertita durante il confronto televisivo. Voce roca, frasi stentate, ragionamenti che non si concludevano e sui quali Trump ironizzava. E sondaggi sempre più negativi. Non ho memoria di un candidato scelto alle primarie e poi sostituito. Nemmeno Eisenhower che venne colpito da infarto nel 1955 e poi rivinse nel 1956, mentre Reagan solo nel 1994 ammise di avere l’Alzheimer, ma i primi sintomi si erano rivelati, lo ha ammesso il figlio Ron, già all’inizio del secondo mandato. Se andiamo più indietro dobbiamo ricordare Woodrow Wilson, presidente dal 1913 al 1921 (quello dei punti che segnarono la fine della prima guerra mondiale). Fu vittima di un ictus nel 1919 che lo lasciò paralizzato e non in grado di esercitare le sue funzioni. Negli ultimi due anni il vero presidente fu sua moglie Edith. Franklin Delano Roosevelt venne colpito a 39 anni, nel 1921, dalla polio. Questo non gli impedì di divenire governatore di New York e presidente per quattro volte degli Stati uniti. Queste patologie o erano compatibili con l’incarico o felicemente mascherate. Magari Biden non avrà nulla di grave. Resta il fatto che non era nelle condizioni di esercitare le funzioni di presidente e men che meno di battere Trump. La sfida per sconfiggere il tycoon non é una semplice battaglia elettorale. Si scontrano in America due mondi. Trump é l’America “first”, gli altri se la giochino da soli. Per questo é apprezzato, come nazionalista, dalla destra e come sedicente assertore della fine dell’America come “poliziotto del mondo” da certi settori pacifisti di sinistra. E’ soprattutto deciso a dare all’Europa il compito di sfangarla sul versante orientale, vedi Ucraina, e di non spendere più quel che ha speso Biden per la resistenza a Putin. Altro che esportare libertà. Gli Stati uniti dovranno anche modificare la loro. I rapporti con la magistratura e l’Alta corte non resteranno quelli di prima. Poco importa delle sue amanti, ma come definire l’attacco al Parlamento con quell’esercito variopinto di americani colorati a metà tra gita premio e spedizione punitiva. L’America di Trump non sarà quella del suo mandato precedente. Tutto sommato incolore. Rischia di essere quella della trasformazione in politica estera e in politica interna. Quella del mutamenti dei rapporti con l’Europa e con la Russia. Lo ha detto il suo candidato alla vice presidente Vance, il nemico sarà la Cina, un nemico economico, altro che ideali americani di libertà e di aiuto per i popoli oppressi. Ragioniamo solo sugli interessi. Gli americani saranno convinti della promessa di una pancia piena, o non vorranno abbandonare la tradizione di Roosevelt che seppe sconfiggere Hitler senza che quest’ultimo gli avesse dichiarato guerra (ah, i giapponesi a Pearl Harbor) e di Wilson che scelse le nazioni democratiche per sconfiggere gli imperi centrali durante la prima guerra mondiale. Non si voltarono dall’altra parte come rischia di succedere se vincerà Trump. Un’America che ragiona solo con la pancia e non con la testa non é l’America. Potrà aver commesso molti errori nella sua storia. Potrà averli commessi per calcolo o per ingenuità. Ma una cosa bisogna pur riconoscergliela. Quando ci sono gli americani gridiamo “go home”. Adesso abbiamo una dannata paura, noi europei, che si tirino indietro.

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