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Il riformismo, questo sconosciuto

9 Settembre 2024 114 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Sabato, come ogni anno, si svolgeranno le iniziative promosse dai parenti e dai compagni di Fernando Santi, in occasione.del 55esimo anniversario della sua scomparsa. Santi era un sindacalista unitario e un socialista riformista. In effetti la parola socialista ha bisogno di una specificazione e quella riformista, assieme a quella liberale, costituisce la sola versione sopravvissuta ai fallimenti e alle barbarie della storia. Ma anche la qualificazione di riformista ha bisogno della parola socialista a cui é storicamente legata. Non é mai esistito un riformismo comunista o un riformismo popolare. Anche negli anni della revisione profonda del Pci Berlinguer mai si definì riformista. Arrivò al punto di qualificare il suo Pci come “conservatore e rivoluzionario”, “di lotta e di governo”, ma, diciamo pure correttamente, non entrò mai nel campo altrui, quello del riformismo. Mai i democristiani, e più in generale gli articolati movimenti cattolici, hanno sposato il riformismo. Anzi, l’hanno saltato a piè pari. Non si contano gli esponenti che uscendo dalla Dc (citiamo negli anni cinquanta il famoso e salace Fortebraccio) finirono direttamente nel Pci (Franco Rodano, Felice Balbo e Adriano Ossicini con la loro rivista Sinistra cristiana) o coloro che addirittura piantarono le tende nella sinistra extraparlamentare. Basti pensare alla storia di due dei fondatori delle Brigate Rosse: Margherita Cagol, nata nella cattolicissima Trento e formatasi nell’associazionismo cattolico, e Renato Curcio, che pur non essendo cattolico veniva comunque dal contesto della chiesa valdese. Non sono casi isolati questi rifiuti del riformismo da parte del mondo cattolico. D’altronde il riformismo non é quell’assoluto del quale un credente ha bisogno. E’ laico, concreto, procede non promettendo il paradiso o la terra dei sogni, ma solo un mondo migliore. Neanche i socialisti, dal 1912 (congresso di Reggio Emilia vinto dal rivoluzionario Benito Mussolini) al 1981 (congresso di Palermo vinto dalla corrente riformista di Bettino Craxi) furono riformisti. Furono progressivamente filo bolscevichi, antifascisti, frontisti, autonomisti, unificazionisti, scissionisti, per la rivoluzione democratica, al governo ma promettendo il socialismo (quale?) domani. Perfino i vecchi riformisti nel dopoguerra non ebbero il coraggio di definirsi tali. Perfino Saragat che al momento della scissione di Palazzo Barberini non volle dietro di sé il ritratto di Turati ma di Marx. E Nenni quando volle celebrare a Canzo Filippo Turati, il padre del socialismo e del riformismo italiano, lo fece mettendone in evidenza gli errori, come quando, nel 1959, commemorò Camillo Prampolini nel suo centenario della nascita. La svolta nel Psi (tutti i vecchi riformisti, nel 1947, da Modigliani a D’Aragona, da Paolo Treves ad Alberto Simonini, dalla figlia di Prampolini alla stessa Angelica Balabanoff che riformista non era stata mai confluirono nel Psli) é datata appunto 1981. Il congresso di Palermo si aggancia così alla fase precedente il 1912. Quasi settant’anni senza riferimenti? No, esisteva una corrente minoritaria, un gruppo di intellettuali raccolto da Critica Sociale di Ugo Guido Mondolfo e dai suoi eredi, la figura del capo delle Brigate Matteotti Corrado Bonfantini che su Turati ha lasciato numerosi scritti, l’Avanti e Mondoperaio che spesso ospitavano studiosi d’impronta riformista come Gaetano Arfè, con la sua brillante storia del socialismo italiano, Federico Coen, Roberto Guiducci, lo stesso Claudio Martelli. Ma che che cos’era e cos’é allora questo riformismo? Nenni ebbe modo di dare una versione popolare al socialismo (che può essere benissimo riferita anche al riformismo): “E’ una battaglia rivolta a favore chi é rimasto indietro”. Riformismo non è dunque un fare le riforme, ma farle per chi sta peggio. Una volta si sarebbe detto per gli sfruttati, poi per i lavoratori, e poi ancora per i disoccupati, oggi per i non garantiti (da un salario qualsiasi, da un salario dignitoso, da un posto di lavoro stabile). La società si é frantumata. Non é possibile riassumerla in slogan. Ma l’idea di mettersi a disposizione “di chi è rimasto indietro” é ancora valida. La nazionalizzazione dell’energia elettrica per portarla al sud e nei paesini di montagna questo rappresentava. E così la scuola unica dell’obbligo per non dividere a 10 anni chi poteva permettersi il lusso di studiare e chi doveva avviarsi subito sul mercato del lavoro. Ma anche il cosiddetto patto anti inflazione lo fu. Se il taglio di qualche punto di scala mobile poteva raffreddare l’inflazione e tutelare il potere d’acquisto degli stipendi e delle pensioni questo é. Voglio dire che il riformismo é un vanto del socialismo se produce la riforma ospedaliera, la riforma agraria, lo statuto dei diritti dei lavoratori e molto altro ancora. Non ho ben capito cosa siano le riforme di struttura, per le quali i cortei degli anni settanta annunciavano lotta dura. Ci sono solo riforme giuste e riforme ingiuste. Quelle giuste appartengono alla storia del riformismo, quelle ingiuste (come il reddito di cittadinanza concepito alla Cinque stelle o il 110% per il restauro delle case dei ricchi appartengono alla sciagurata storia del populismo). Il riformismo non é una religione, come il marxismo-leninismo, oggi alquanto in disuso. Non lo é come il fascismo che pare oggi stuzzicare più d’uno. Non é neanche una teoria scritta alla stregua del libretto di Mao. Non ci si può dunque, lo dico per i giovani, infatuare per il riformismo. Per scegliere questa strada basta la ragione. Lo disse Filippo Turati agli scissionisti comunisti: “Se volete fare qualcosa che sia veramente rivoluzionario voi sarete forzati a percorrere esattamente la nostra via, quella dei socialtraditori”. La profezia di Turati si é avverata a metà. Il Pd il vecchio riformista non lo aveva proprio previsto.

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