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Quale socialismo oggi e domani (seconda puntata)

2 Giugno 2025 110 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il socialismo liberale ha bisogno per affermarsi, ovviamente, della libertà. Il mondo soffre oggi in numero crescente regimi illiberali. Secondo una ricerca di The Economist che esamina attraverso un Democracy index (indicatore di democrazia) lo stato di democrazia in 167 paesi, le democrazie complete (l’indicatore é calcolato dall’esame di cinque categorie: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica) sarebbero soltanto 24 (al primo posto si classifica la Norvegia), le democrazie imperfette 48, i regimi ibridi 36, quelli autoritari 59. I regimi autoritari (ad esempio quello cinese a partito unico), sommati a quelli ibridi (ad esempio la Russia e la Turchia) sono quindi la maggioranza e superano la somma tra democrazie perfette e imperfette. L’Italia si classifica al 37esimo posto ed é quindi considerata una democrazia imperfetta. Stanno oggi proliferando i regimi autocratici, non necessariamente dittatoriali, ma dove ad elezioni dirette si somma un esercizio non democratico del governo e spesso la persecuzione degli oppositori. Il valore delle liberaldemocrazie viene sminuito quando non apertamente contestato assieme alla presunta crisi dell’Occidente. Una crisi che si ritiene morale, culturale ed anche economica. Anzi, il populismo e il sovranismo mettono in discussione i capisaldi delle liberaldemocrazie, come la funzione del Parlamento (pensiamo ai grillini che insultavano i deputati dinnanzi a Montecitorio) o i diritti civili conquistati (pensiamo al libro di Vannacci e alla sua estesa popolarità). I progressi economici dei paesi orientali, soprattutto la Cina, dimostrerebbero che le esigenze del popolo possono essere meglio garantite da un regime autoritario. L’assalto alle liberaldemocrazie ci deve mettere in condizione di dare risposte e dalle sue origini trarre conseguenze costruttive. Dopo la fase della contrapposizione ideologica Est-Ovest che segnava il conflitto tra democrazie e comunismo, la politica é entrata in crisi ovunque, soprattutto in Italia, dove quel contrasto era particolarmente vissuto, data la presenza del più forte partito comunista d’Occidente e per la stessa collocazione geografica del nostro paese, in un territorio di confine tra i due mondi e dinnanzi alla regione mediorientale dove dal dopoguerra si consuma lo storico conflitto tra Israele e palestinesi, ma che per molti decenni ha coinvolto la maggior parte di paesi arabi. Dopo l’ottantanove si è arrivati, in una fase transitoria, a considerare la democrazia come definitivamente vittoriosa. I paesi comunisti, compresa la stessa Russia, erano divenuti paesi liberali, sia economicamente, essendosi diffuso e affermato il libero mercato, sia politicamente, procedendo questi ultimi a comporre un pluralismo politico concorrente a livello elettorale. Pareva che la risposta dell’unità europea fosse il naturale sbocco della conversione democratica degli ex paesi comunisti e un obiettivo maturo per l’intero continente. Si passò dal bipolarismo al monopolarismo (l’occidente a guida Usa), che poi é entrato in crisi per la mancata risposta ai grandi problemi dell’umanità, primo fra tutti quel grande processo di migrazioni dal sud del mondo che ha spesso sconvolto equilibri tradizionali, creato nuove paure e laceranti tensioni in tutti i paesi occidentali. Unito a questo processo l’altro, quello di una crisi dei mercati attraverso l’unione commerciale (il Wto) che ha visto i prodotti occidentali soggiogati da quelli orientali, soprattutto cinesi. Il basso costo del lavoro in un regime storicamente mai esistito,  cioè comunista e capitalista ad un tempo, ha messo in crisi i mercati americani ed europei. La globalizzazione economica non ha corrisposto a unire il mondo ma a dividerlo ulteriormente. Le nuove tecnologie hanno iniziato a rivoluzionare il mondo del lavoro, come abbiamo scritto nel capitolo precedente, ma anche a creare nuove disparità. E questo influisce sulla democrazia. I possessori dei grandi mezzi di comunicazione sono oggi in grado di condizionare esiti elettorali, consensi politici e personali, ma anche vendite di prodotti sul mercato. Di celebrarne la presunta supremazia. La democrazia non può prescindere dal governo di questi strumenti che in paragone alle televisioni, sono in grado di incidere molto più a fondo sul tessuto connettivo dei vari paesi. La scienza, nell’epoca della tecnica, ha rivoluzionato anche la conoscenza e dato alle democrazie nuovi strumenti di partecipazione diretta a cui non si deve rinunciare. Ma al contempo non può mettere in secondo piano la democrazia rappresentativa. Non si possono fare leggi online, non esiste la legge a suffragio universale. I referendum non possono sostituire con un sì e con un no il complesso percorso legislativo. Dunque dobbiamo difendere il Parlamento. Ma non basta per costruire anche in Italia una democrazia completa. A fronte dei nuovi strumenti che possono favorire forme di democrazia diretta la democrazia italiana sì é irrigidita e nascosta quasi ne avesse paura. Al posto della partitocrazia pluralista si é costruito da noi una sorta di monocrazia della quale l’elezione diretta del premier é logica conseguenza. Si tratta della monocrazia del leader di partito (a proposito quando approvare la legge sui partiti a cui necessariamente rimanda l’articolo 49 della Costituzione? E quanti partiti hanno le caratteristiche “democratiche” che la Costituzione pretende da loro?). I parlamentari in Italia sono eletti direttamente dai leader e dalla ristretta oligarchia che li affianca. I governatori regionali e i sindaci nominano le giunte e un assessore non può essere consigliere. Il che presuppone una strana e contraddittoria superiorità dei nominati sugli eletti. Le nomine degli enti vengono decise dai governatori e dai sindaci che le assegnano generalmente a donne e uomini di loro stretta osservanza. Dunque tutto il sistema istituzionale é imperniato sulla sottrazione di potere al popolo e al pluralismo politico, sulla concentrazione in poche mani della democrazia. I socialisti liberali sono favorevoli a una grande riforma istituzionale e costituzionale. In Italia non esiste la seconda repubblica, ma solo un nuovo sistema politico non identitario che, unico caso in Europa, ha sostituito quello tradizionale. Non é possibile un ritorno al passato, ma edificare un sistema identitario con le stesse caratteristiche di quello europeo si rivela non solo opportuno ma anche necessario. L’Italia era il paese in cui si votava di più, ora é divenuto quello in cui si vota di meno. Alle elezioni europee in Italia ha votato solo il 49,7%. Ci superano, alle ultime elezioni europee dello scorso anno, nettamente, la Germania col 64,7%, ma anche la Francia col 51,5% e la stessa media europea risulta per la prima volta superiore, il 50,7. Da considerare che, non solo l’Italia anche alle europee era il paese con la percentuale più alta di votanti, ma che a partire dal 1979 la sua percentuale superava l’80% (esattamente l’85%, quasi il doppio, mentre la Germania col 65% conseguì la stessa percentuale di 45 anni dopo). Il crollo dell’elettorato é un dato solo italiano e non fanno eccezioni né le elezioni politiche, né quelle regionali e comunali. In particolare alle politiche del 2022 in Italia ha votato il 64% degli elettori. Si tratta della percentuale più bassa della storia repubblicana e della percentuale più bassa di sempre delle altre tre più grandi nazioni europee (Francia, Spagna, Germania). Il 25 settembre del 2022 é stata la prima volta che in Italia si é recato al voto meno del 70% degli elettori, dopo che il 2013 era stato il primo anno con un’affluenza inferiore al’80%. Possibile non capire che i cittadini non sanno che farsene di questo sistema politico, di queste false contrapposizioni, di schemi e tattiche che non corrispondono più ad appartenenze storiche? Guardiamo avanti e si elegga subito un’Assemblea costituente per elaborare un nuovo testo costituzionale che comprenda anche la legge elettorale e si definisca una volta per tutte l’assetto dello stato, presidenziale, semi presidenziale, federale, con cancellierato, solo parlamentare. Si fondi davvero la seconda repubblica con partiti europei e si accresca così l’interesse dei cittadini per la politica affidando loro e non alle segreterie politiche la scelta dei parlamentari. I socialisti liberali hanno bisogno di democrazia e di partecipazione. Sono forti, nelle diverse forme intraprese storicamente, nei paesi più evoluti democraticamente mentre nei paesi a basso tasso di democrazia prevalgono gli estremismi in chiave populista e tardo sovranista. Facciamo dell’Italia uno dei primi paesi a democrazia completa, dunque, e rendiamolo, questo, un obiettivo del presente.

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