Separazione delle carriere e rischi di carriere
E’ successo il finimondo dopo la votazione finale della legge sulla separazione delle carriere dei magistrati. Parlando di Gaza i deputati Cinque stelle e molti deputati del Pd si sono scagliati contro i banchi del governo accusando i ministri, e in particolare quello degli Esteri Tajani, di avere applaudito l’esito della votazione. Ma non sta scritto da nessuna parte, nella Costituzione o nei regolamenti parlamentari, che i ministri non possano applaudire al buon esito di una votazione. Avere infiammato gli animi contro questa riforma la dice lunga sulla vocazione riformista e liberale del campo largo, peraltro diviso anche in questa circostanza. Pd e Cinque stelle hanno votato contro e Italia viva si é astenuta. Calenda e il suo gruppo, che del campo largo non fanno parte, hanno votato, con coerenza, a favore del provvedimento di riforma costituzionale, che é passato alla terza votazione (due volte alla Camera e una al Senato). Manca ancora una quarta votazione, come prevede l’articolo 138 della Carta, e poi, con ogni probabilità, si andrà al referendum confermativo (che non prevede alcun quorum di partecipazione). Ma restiamo al merito della questione. E’ dalla riforma del processo penale del 1988 (legge Vassalli), che da inquisitorio si é trasformato in accusatorio col giudice terzo, che Piemme e giudici svolgono funzioni diverse e devono dunque avere carriere diverse e organi di autogoverno diversi. La confusione attraverso lo scambio genera prevalenza del piemme che vestendo anche la casacca del giudice può far valere le sue tesi con più facilità. Al regime della separazione delle carriere é ispirata la legislazione delle nazioni di tutta Europa mentre in Francia il piemme dipende dal ministero degli Interni. L’unico paese che prevedeva carriere e ruoli unificati per accusa e giudizio era il Portogallo di Salazar, non proprio un paese modello di democrazia. La materia é diventata scottante da quando la magistratura, in barba alle denunce mai smentite di Palamara, alla debordante presenza dei partiti nel Csm (giusto il sorteggio per l’elezione dei magistrati), al ruolo che in questi oltre 30 anni la magistratura ha pesantemente svolto nell’attività politica e ai processi che da penali sono spesso divenuti politici, ha deciso di sguainare la scimitarra e considerare la riforma una sfida alla sua indipendenza. Indipendenza dalla politica che oggi non ha e che la riforma invece può consentirle. Non c’é una parola nella legge che consenta un’accusa di questo tipo. Ma tant’é. Sarà probabilmente questo argomento che verrà ancora agitato al momento del probabile referendum confermativo. La sinistra liberale ha fatto della riforma del sistema giudiziario una delle sue prerogative qualificanti. Già nei referendum radicali si indicavano i temi: separazione della carriere, riforma del Csm, restrizione del carcere preventivo (l’arma di Mani pulite usata ai fini di confessione, dunque come tortura). In tutto il mondo la sinistra si batte per i diritti civili e per le liberà dei cittadini. In Italia non é così. Abbarbicata sul dorso del potere giudiziario, forse per ricompensare vecchi favori, su questi temi la sinistra é conservatrice e la destra riformatrice. Non la pensava certo così il senatore Agostino Viviani, nonno di Elly Schlein, socialista e radicale, che nel 1996 su Radio radicale sostenne apertamente la necessità delle separazione delle carriere dei magistrati e nella sua seconda legislatura (1976-79) propose una legge sulla responsabilità civile dei magistrati che anticipò di dieci anni il referendum vinto del 1987, ma che gli costò un attacco senza precedenti dell’Anm. A favore della separazione delle Carriere si schierò apertamente Giovanni Falcone, e da ultimo addirittura lo stesso Antonio Di Pietro. Stupisce la svolta del radicale Magi che, contrariamente a Della Vedova, ha votato contro la legge. Carriera a rischio? Eppure si tratta di una legge pannelliana. Stupisce la mancata spaccatura del Pd (dove sono i liberali, dove i riformisti?) e anche qui il futuro a rischio ha pesato, ma stupisce anche che il piccolo Psi possa tacere a fronte di un tema caratteristico della storia socialista. Abbracciare Conte e la Schlein oggi non é un reato penale. E’ peggio. E’ un reato politico.







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