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La grande finzione

28 Aprile 2015 1.035 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Quel che penso dell’Italicum l’ho scritto più volte. Credo che rappresenti bene un modo di intendere la politica come rappresentazione. La finzione, o fiction, qui è alla massima potenza. Tutto quel che si dice non è vero. Tutti lo sanno e nessuno, nemmeno l’opposizione, lo dice. Cominciamo col sottolineare quel che vero non può essere. Non è vero, non può essere vero che bisogna convincere i parlamentari a votarlo perché in caso contrario c’è il rischio che vadano a casa. Nessuno di noi può permettersi di fare il moralista di fronte alle preoccupazioni dei parlamentari per il loro futuro, ma se il voto su uno strumento così rilevante di organizzazione della nostra democrazia deve essere determinato, non già dalla coscienza dei nostri rappresentanti, ma dal solo loro desiderio di mantenere il posto, e questo diventa l’argomento principe usato sia dal presidente del Consiglio, sia dai suoi oppositori, per indurli a un voto favorevole o contrario, saremmo davvero alla frutta. Non può essere vero, se no dovremmo dare ragione a Grillo.

Non è vero, non può essere vero, che accogliere qualche emendamento alla Camera rischia di affossare la legge che sarebbe costretta a tornare al Senato, con grave pericolo di tenuta della maggioranza. Significherebbe ammettere che la legge elettorale pensata come terreno della convergenza tra maggioranza e minoranza, non solo viene approvata solo da una parte della maggioranza (in particolare dalla maggioranza del partito di maggioranza), ma che non avrebbe neppure il consenso dell’altra Camera dalla quale non si vuole tornare per il rischio di finire sotto. Se così fosse dovremmo approvare una legge che non solo non ha la larga convergenza auspicata, ma non ha neppure il consenso della maggioranza di governo, della totalità del partito di maggioranza e forse nemmeno del Senato, se vi facesse ritorno.

Non è vero, non può essere vero che se l’Italicum non fosse approvato il governo sarebbe tenuto a dimettersi. La legge elettorale non fa parte, Renzi lo ha più volte ribadito, dei patti di governo. Tanto è vero che su questa materia egli aveva sottoscritto un altro patto, quello del Nazareno, e quest’ultimo è già caduto dopo l’elezione del presidente della Repubblica. Che c’entra il governo che dovrebbe dunque cadere su un argomento al quale il suo stesso presidente aveva esplicitamente sottratto la paternità? E non è vero, non può essere vero, che una inconsueta crisi di governo dovrebbe poi portare il paese alle elezioni. Siamo ancora una Repubblica parlamentare e lo scioglimento della Camere non è affidato al presidente del Consiglio ma al capo dello Stato, che dovrà accertarsi della indisponibilità di una maggioranza parlamentare.

Poi non sono certamente vere tutte le cose che si dicono sull’Italicum. Che cioè si eleggerebbe un governo e un presidente del Consiglio, visto che restiamo in una repubblica parlamentare e con le elezioni si eleggono dunque i parlamentari soltanto. Non è vero che le elezioni del Parlamento, anche nella nuova dimensione del monocameralismo elettivo, servano per decretare un vincitore. Questo vale solo in occasione delle elezioni dei singoli (sindaci, governatori) e nelle repubbliche presidenziali (America e Francia) dove si eleggono i capi del governo e dello stato insieme. Non è vero che in altri paesi si vinca per legge solo col 40 per cento. Nemmeno in Inghilterra dove non a caso, nonostante l’uninominale secco, dopo le ultime elezioni si è dovuto formare un governo di coalizione tra conservatori e liberali. Non è vero che esista in Francia il doppio turno previsto dall’Italicum. Esiste il doppio turno di collegio che è tutt’altra cosa. Non è vero che col premio di lista saranno superate le “maledette” coalizioni, perché le singole liste saranno obbligate a coalizzarsi formando proprio liste di coalizione, se vogliono concorrere al premio, per poi dividersi il giorno dopo le elezioni. E non è neanche vero che una legge del genere esista in altre parti del mondo. Per dirla alla Turati anch’io non conosco “leggi arabe e turche”, conosco quelle europee e la nostra che si chiama, riconoscendo la sua straordinaria originalità, non a caso solo Italicum.

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