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Anonimo reggiano

24 Febbraio 2012 2.160 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Sì reggiano, non veneziano, come il film del 1970 di Enrico Maria Salerno con l’affascinante protagonismo di Florinda Bolkan. E me ne vanto. Sono sempre stato orgoglioso della mia identità di testa quadra nata in via Baruffo numero 1 nel purtroppo ormai lontano 1951, quando ancora c’erano i sassi a lastricare i selciati delle vie e a graffiarmi le ginocchia da bambino. Che Reggio Emilia non sia Parigi o Roma o Venezia l’avevo già imparato da piccolo e non c’era bisogno di illuminazioni fornite al riguardo da un architetto nell’odierno 2012. Sarà che siamo anomini, ma non siamo per nulla deficienti. Anche la nostra città, tuttavia, ha un grande fascino per chi la conosce e la giudica dopo averla visitata. Dicono sia stata fondata da Marco Emilio Lepido qualche decina d’anni dopo Cristo, ma in realtà era un accampamento preesistente, poi sarà variamente dominata (anche da Modena). E si libererà, per un tratto, nel 1796, quando venne fondata la Repubblica reggiana che anticipò d’un anno quella Cispadana. Caro architetto, proprio nell’anonima Reggio venne fondato, come credo non le sarà sfuggito, il vessillo tricolore nel gennaio del 1797. Reggio era anche sede, proprio in quel periodo, di una delle più prestigiose università italiane dove insegnava Lazzaro Spallanzani. Poi sarà la città di Camillo Prampolini, che promosse il socialismo riformista e cooperativo, di Giuseppe Menada, che fondò le ferrovie e le industrie, di Giuseppe Dossetti e Alberto Simonini, costituenti e uomini politici di primo piano, di Meuccio Ruini, che presiedette il Senato della Repubblica italiana, di Nide Iotti, che presiedette la Camera dei deputati, di Romano Prodi, che fu presidente del Consiglio due volte. E’ la città di Maria Melato, di Ferruccio Tagliavini, di Romolo Valli. Dicono che a Reggio esistano le scuole dell’infanzia più belle del mondo e le cooperative più grandi e grazie al suo teatro sono state scoperte e lanciate le voci di Luciano Pavarotti e Mirella Freni. Potrei continuare. E dirle, caro architetto, che su quella balena asfaltata sono volati gli sguardi di decine di migliaia di anonimi bambini e che piazza San Prospero resta uno degli scorci più intriganti d’Italia, come le viuzze del centro e i palazzi estensi, preesistenti le vele di Calatrava. Lasci perdere i maiali. Sono tanti, è vero, ma non c’è nulla da buttare, sa? E a volte sono anche meglio degli uomini quando vogliono imitarli. A proposito, lei non sarà mica parente di Nino, il grande musicista felliniano? Se per caso così fosse sappia che il suo Cappello di paglia ha avuto qui una trionfale messa in scena che gli ha consentito di passare proprio dall’anonimato al trionfo. Che coincidenza…

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