Dai primi dati delle 15 pare che l’affluenza ai quattro referendum della Cgil appoggiati dal Pd, Avs e Cinque stelle e a quello promosso da Più Europa sia stata inferiore al 30% o giù di lì. Si tratta di un clamoroso ed esauriente flop elettorale. Nenni diceva: “Piazze piene e urne vuote”. E così è stato dopo la manifestazione del giorno prima su Gaza. Sbagliato mischiare Gaza con i referendum. Ma tutti hanno voluto notare che quella prova di forza (i promotori hanno parlato addirittura di 300mila persone) poteva essere un elemento da tenere presente in occasione delle future prove elettorali. Non si trattava del campo largo del quale hanno parlato taluni giornali giacché non c’erano Renzi e Calenda, ma della semplice Union de la gaucho, ammesso che si possa ritenere di sinistra un movimento populista come quello guidato da Conte. E lo stesso schieramento ha appoggiato i referendum, con l’esclusione dei riformisti del Pd che peraltro avevano partecipato anche alla manifestazione di Milano. Questa unione delle sinistre non è arrivata al 30% dell”affluenza elettorale, meno di quel che la presunta sinistra ha conquistato alle ultime disastrose elezioni politiche. Questo il primo dato politico che risalta. Il secondo è l’uso sbagliato dei referendum che in Italia non ottengono il quorum, eccetto quello sull’acqua pubblica del 2011, ormai dagli anni novanta, dai referendum elettorali di Mario Segni. Fu in quella circostanza, a partire esattamente da quello sulla preferenza unica del 1991, che la Corte dispose una dubbia costituzionalità al referendum abrogativo che, tagliando frasi e singole parole, disegnava in realtà una legge diversa, proponendosi così come referendum propositivo che in Italia non dovrebbe esistere. Da quel momento si sono svolti referendum di ogni tipo generalmente su argomenti complessi e difficilmente comprensibili dalla pubblica opinione e disertato dalla maggioranza degli elettori. Il terzo dato corrisponde all’inganno dei primi due referendum: quello sul Jobs act che in realtà non reintroduceva l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ma la legge Fornero che era più misera nelle liquidazioni per licenziamento di quanto non sia il jobs act. Un clamoroso autogol. E così il secondo referendum che per le aziende inferiori ai 16 dipendenti cancellava la quantificazione della cifra come se per volontà dello spirito santo dovesse diventare maggiore. Il 70% degli elettori ha voltato le spalle anche a questi due referendum. Pensando forse che i veri problemi dei lavoratori siano altri e prima di tutto i bassi salari. Chi ha perso e chi deve fare autocritica? Innanzitutto Landini e la sua Cgil che guarda a un mondo del lavoro che non esiste più, poi la Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli. Hanno sfoderato la scimitarra per colpire il governo e sono stati clamorosamente battuti. Non si fa la guerra per perderla. “Le coniurationi fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina i coniurati”, scriveva Macchiavelli. E così anche le guerre. E i referendum.