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Escalation

Non avevo ancora ascoltato il ministro degli Esteri Tajani parlare di “rischio di escalation”. Ma l’avrà fatto come prima, più di prima. Come l’8 ottobre del 2023 quando Hamas fece strage di uomini, donne e bambini in Israele e la posizione italiana, assieme all’inevitabile condanna, fu ispirata alla necessità di “evitare l’escalation”. E così quando Netanyahu si mise a bombardare Gaza l’imperativo di Tajani fu “escalation da evitare”. Col verbo post posto. Volete che non abbia pronunciato quella parola ieri? Lui più precisamente ha auspicato una “de escalation”. Ci voleva. Cioè l’Italia non si schiera né a favore né contro Israele e i bombardamenti in Iran, ma per la “de escalation” come ha ripetuto anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Comprendo bene che per condizioni geo politiche l’Italia sia un paese particolarmente a rischio, tanto che coi terroristi ha quasi sempre trovato un’intesa, vedasi il lodo Moro degli anni settanta. D’altronde l’Italia, il paese delle stragi e del terrorismo rosso e nero, avrebbe potuto divenire anche un campo di battaglia di proporzioni ben più luttuose di quelle conosciute negli anni di piombo. Ma adesso la situazione internazionale ë cambiata. Read the full story »

14 Giugno 2025 No Comments 36 views

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Esplosione

Pare quasi che la guerra mondiale a pezzi, come la definì papa Francesco, tenda ad unificarsi, anche se dai vertici delle autorità competenti giungono rassicurazioni al riguardo. Prima l’aggressione della Russia all’Ucraina il 24 febbraio 2022 e il giusto sostegno della comunità europea e occidentale al diritto alla resistenza del popolo aggredito. Poi il barbaro attacco di Hamas ai civili israeliani del 7 ottobre del 2023 che ha scatenato la controffensiva israeliana e i massacri di Gaza. In mezzo gli attacchi ad Israele degli Hezbollah libanesi appoggiati dall’Iran e degli Huthi che, sotto il controllo di Teheran, hanno scatenato la guerra civile nello Yemen che è costata 110mila vittime, poi hanno preso possesso delle sponde del mar Rosso bersagliando imbarcazioni mercantili americane ed europee. Read the full story »

14 Giugno 2025 No Comments 51 views

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L’autogol
La parola “sconfitta” l’ha pronunciata solo il segretario del Psi Vincenzo Maraio e Dio sa perché il suo partito si sia voluto collocare tra la schiera dei perdenti. Landini ha parlato di “non vittoria”, che a ben pensarci cambia poco. Chi non vince perde, a meno che non pareggi. Ma nei referendum il pari non esiste. Altri dirigenti del Pd sostengono che il 30% dei votanti rappresenta un consenso maggiore di quello ottenuto dal centro-destra alle ultime politiche. Ma se togliamo a quel 30 il 10-12% di no, che diventa un 35 al referendum sull’immigrazione, non é neanche vero. E poi che c’entra? Il referendum non era stato promosso per affermare nuovi o vecchi diritti del mondo del lavoro? O era stato concepito come una sfida numerica al governo? Se ben osserviamo i quesiti il referendum che ha ottenuto più voti é proprio quello sul jobs act che leggendolo bene non ripristinava l’articolo 18 ma la legge Fornero che prevedeva meno risorse per il lavoratore licenziato e toglieva protezioni ai precari. E quello meno votato é stato il più chiaro ma insidioso e cioè il referendum che tagliava gli anni necessari per chiedere la cittadinanza. Il tema dell’immigrazione, si sa, é particolarmente indigesto a sinistra. Quando si parte lancia in resta per sbaragliare gli avversari e si resta con le pive nel sacco sarebbe d’uopo un’autocritica. Invece gli sconfitti si dicono contenti del risultato o meglio del non risultato giacché le leggi che si volevano abolire resteranno tali e quali. E nel Pd i riformisti annunciano una giusta e opportuna battaglia. Staremo a vedere dove li porterà. Concentriamoci sul primo referendum, quello a barre ideologiche. La Schlein é riuscita a perdere un referendum su una legge che il Pd aveva votato e a far vincere la Meloni su una legge che il suo partito non aveva approvato. Landini ha convocato l’ubbidiente Uil per difendere un articolo di una legge che il suo ex partito, il Pci, non aveva votato e anche il piccolo Psi ci è cascato pensando che l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori l’avesse scritto Brodolini e invece fu inserito da Donat Cattin mentre Gino Giugni proponeva la sua manutenzione gia alla Conferenza di Rimini del 1982. Poco o nulla si sa del merito e dei precedenti nella politica italiana. L’ignoranza regna sovrana. Non c’é quasi nessuno che studi i problemi, che ne anticipi lo sviluppo, che ne legga possibili conseguenze. Ma poco si conosce dei mutamenti profondi nel sistema economico e nel mondo del lavoro. Si pensa ancora all’egemonia della classe operaia che é divenuta minoritaria oggi. O al massimo si arriva a concepire la terziarizzazione dell’economia degli anni ottanta come permanente. Oggi siamo entrati nell’epoca digitale. Il vero conflitto é tra modernizzazione e conservazione e il ruolo di uno stato socialdemocratico é sempre più quello di fissare delle norme che regolino il sistema nel segno dell’equità sociale. Un salario dignitoso per tutti, nel mondo dell’intelligenza artificiale, sarà problema ineludibile. Cosa si è fatto per decentrare i contratti, per legare salari e produttività, per garantire servizi anche tecnologici a tutti? No. In questo nuovo mondo decetomedizzato, come si dice, dove un’azienda su internet sta uccidendo il commercio al dettaglio, dove i salari italiani sono i più bassi d’Europa, dove ancora il lavoro giovanile e femminile arranca, che si fa? Un bel referendum, anzi tre, sul lavoro di quarant’anni fa. E vi stupite perché la gente si volta dall’altra parte? Con questa concezione del mondo del lavoro, come se l’Italia fosse ancora un paese di grandi aziende e non avesse invece il 95% di piccole imprese, la sinistra perderà sempre. Perché é vecchia. Decrepita. Ha l’urlo genuino ma incolore di Landini, lo sguardo imbarazzato della Schlein e il cinico risvolto di un Conte che non vince mai.
14 Giugno 2025 No Comments 38 views

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Flop
Dai primi dati delle 15 pare che l’affluenza ai quattro referendum della Cgil appoggiati dal Pd, Avs e Cinque stelle e a quello promosso da Più Europa sia stata inferiore al 30% o giù di lì. Si tratta di un clamoroso ed esauriente flop elettorale. Nenni diceva: “Piazze piene e urne vuote”. E così è stato dopo la manifestazione del giorno prima su Gaza. Sbagliato mischiare Gaza con i referendum. Ma tutti hanno voluto notare che quella prova di forza (i promotori hanno parlato addirittura di 300mila persone) poteva essere un elemento da tenere presente in occasione delle future prove elettorali. Non si trattava del campo largo del quale hanno parlato taluni giornali giacché non c’erano Renzi e Calenda, ma della semplice Union de la gaucho, ammesso che si possa ritenere di sinistra un movimento populista come quello guidato da Conte. E lo stesso schieramento ha appoggiato i referendum, con l’esclusione dei riformisti del Pd che peraltro avevano partecipato anche alla manifestazione di Milano. Questa unione delle sinistre non è arrivata al 30% dell”affluenza elettorale, meno di quel che la presunta sinistra ha conquistato alle ultime disastrose elezioni politiche. Questo il primo dato politico che risalta. Il secondo è l’uso sbagliato dei referendum che in Italia non ottengono il quorum, eccetto quello sull’acqua pubblica del 2011, ormai dagli anni novanta, dai referendum elettorali di Mario Segni. Fu in quella circostanza, a partire esattamente da quello sulla preferenza unica del 1991, che la Corte dispose una dubbia costituzionalità al referendum abrogativo che, tagliando frasi e singole parole, disegnava in realtà una legge diversa, proponendosi così come referendum propositivo che in Italia non dovrebbe esistere. Da quel momento si sono svolti referendum di ogni tipo generalmente su argomenti complessi e difficilmente comprensibili dalla pubblica opinione e disertato dalla maggioranza degli elettori. Il terzo dato corrisponde all’inganno dei primi due referendum: quello sul Jobs act che in realtà non reintroduceva l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori ma la legge Fornero che era più misera nelle liquidazioni per licenziamento di quanto non sia il jobs act. Un clamoroso autogol. E così il secondo referendum che per le aziende inferiori ai 16 dipendenti cancellava la quantificazione della cifra come se per volontà dello spirito santo dovesse diventare maggiore. Il 70% degli elettori ha voltato le spalle anche a questi due referendum. Pensando forse che i veri problemi dei lavoratori siano altri e prima di tutto i bassi salari. Chi ha perso e chi deve fare autocritica? Innanzitutto Landini e la sua Cgil che guarda a un mondo del lavoro che non esiste più, poi la Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli. Hanno sfoderato la scimitarra per colpire il governo e sono stati clamorosamente battuti. Non si fa la guerra per perderla. “Le coniurationi fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina i coniurati”, scriveva Macchiavelli. E così anche le guerre. E i referendum.
9 Giugno 2025 No Comments 64 views

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Solo due sì

 

Questa mattina al seggio ho ritirato solo due schede: quella sugli appalti e quella sulla cittadinanza. Ovviamente per esprimere due sì. Condivido l’idea che nei molteplici incidenti che si verificano nei lavori effettuati dalle ditte subappaltanti una qualche responsabilità giuridica debba essere individuata anche per quelle appaltatrici. Condivido poi il referendum voluto da Più Europa sul dimezzamento degli anni per chiedere la cittadinanza italiana. Read the full story »

9 Giugno 2025 No Comments 71 views

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A Milano
6 Giugno 2025 No Comments 74 views

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Quale socialismo oggi e domani (seconda puntata)

Il socialismo liberale ha bisogno per affermarsi, ovviamente, della libertà. Il mondo soffre oggi in numero crescente regimi illiberali. Secondo una ricerca di The Economist che esamina attraverso un Democracy index (indicatore di democrazia) lo stato di democrazia in 167 paesi, le democrazie complete (l’indicatore é calcolato dall’esame di cinque categorie: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica) sarebbero soltanto 24 (al primo posto si classifica la Norvegia), le democrazie imperfette 48, i regimi ibridi 36, quelli autoritari 59. I regimi autoritari (ad esempio quello cinese a partito unico), sommati a quelli ibridi (ad esempio la Russia e la Turchia) sono quindi la maggioranza e superano la somma tra democrazie perfette e imperfette. L’Italia si classifica al 37esimo posto ed é quindi considerata una democrazia imperfetta. Read the full story »

2 Giugno 2025 No Comments 85 views