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La guerra di Libia

20 Gennaio 2016 2.731 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Che l’Italia vanti diritti sulla Libia è falso. Forse vanta più doveri. La guerra di Libia voluta nel 1911 da Giolitti, che costò la dissociazione del PSI dal suo governo, sfociò in una sanguinosa occupazione. Non a caso Gheddafi ha preteso da Berlusconi risarcimenti postumi di un certo rilievo. La verità è che la Libia è geograficamente e anche economicamente un paese vicino. Quando nel 1986 Reagan decise di bombardare Tripoli e Bengasi il governo Craxi si dissociò e non concesse le basi americane in Italia. Cosa diversa fece il governo Berlusconi che, pur manifestando preoccupazione, inviò anche i mezzi italiani ad appoggiare la rivoluzione anti Ghedafi, dopo l’intervento francese e americano.

Oggi il problema ci si ripresenta e dopo avere fallito per due volte la nomina di un italiano come mediatore tra i governi di Tripoli e di Tobruk, all’Italia è affidato dalla comunità internazionale un ruolo di coordinamento al quale certo non può sottrarsi. Recentemente il ministro Gentiloni ha ricordato le sue stesse mosse per pacificare quel martoriato territorio. Il nuovo governo, dopo oltre un mese dalla ratifica dell’accordo di Skhirat, ha finalmente preso luce, anche se la sua ratifica è affidata ai due parlamenti di Tripoli e di Tobruk e le opposizioni sono tutt’altro che marginali. Il nuovo presidente Serraj si appresta a superare ostacoli tutt’altro che indifferenti come quello derivato dalla mancata nomina del generale Haftar amico degli americani. L’inviato Onu, il tedesco Kobler, preoccupato ha commentato: “Non si può aspettare. Così si rischia un’alleanza tra il Califfo e Boco Haram”.

Resta il fatto che l’avanzata e il terrore seminato dall’Isis continuano. Una parte cospicua del territorio libico è ormai nelle mani del Califfato. Si spargono tensioni e lutti tra le macerie. La città di Ben Jannad è stata occupata e 150 sono i prigionieri nelle mani dei terroristi dei quali tre già barbaramente trucidati ed esposti come trofeo. Un uomo crocifisso è stato anch’esso esposto. Si è pure sparsa la voce di altri 150 prigionieri, mentre al confine tra Siria e Iraq si verificano nuovi massacri, dopo le stragi di Istambul e del Burkina fasu, dove ha trovato la morte anche un bambino italiano di nove anni. La Germania ritiene ormai inevitabile un intervento militare. Gentiloni lo rimanda alla richiesta ufficiale del nuovo governo libico che, se finalmente si formerà, non tarderà ad essere formulata ufficialmente. Penso che serva una strategia politica e militare comune della comunità internazionale su tutta la zona. Concentrarsi solo sulla Libia appare riduttivo.

Resta una domanda. Una volta insediato il nuovo governo libico cosa farà l’Italia? Secondo l’esperto militare Margelletti a poco servono i bombardamenti. Occorre un’invasione di terra. E lo stesso parere del generale Camporini, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa e oggi vice presidente dell’Istituto Affari internazionali. Difficilmente l’Italia, dopo aver rivendicato a lungo un ruolo di primattore in Libia, potrà sfilarsi. Mi chiedo però se l’opinione pubblica italiana sia preparata a questo passo, dopo che il governo ha negato di essere in guerra preferendo giocare coi dvd. Da tempo scriviamo sull’Avanti che la situazione imporrà inevitabilmente scelte impopolari. Penso che avremmo fatto meglio a prospettarle subito alla nostra comunità. Se ci dichiariamo pronti a raid aerei in Libia e se non possiamo voltarci dall’altra parte qualora il governo libico ci chieda di inviare truppe, siamo convinti che tutto passerà senza tensioni gravi e senza che qualcuno riprenda i discorsi di ieri?

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