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Quelle strane obiezioni del no

28 Novembre 2016 1.118 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Nel rispetto che si deve alle opinioni di tutti, devo dire che non trovo convincenti e neppure razionali le obiezioni del no, quanto mai pluralistico e disarticolato, alla legge costituzionale. Lasciamo perdere i riformatori fa da te, quelli che avrebbero preferito questo e quest’altro. L’argomento del referendum è semplice. Si preferisce questa riforma o la situazione attuale? Cerco di enumerare le obiezioni e di rispondere a tutte. Le prime due sono, diciamo così, premesse. Una riguarda il parlamento dei nominati con una legge parzialmente ritenuta incostituzionale dalla Corte. Ci si dimentica di aggiungere che la Corte ha autorizzato il parlamento a legiferare altrimenti l’avrebbe dovuto ritenere di fatto decaduto. Dunque non vi è alcun impedimento a legiferare, sia in materia ordinaria, sia in materia costituzionale. In pochi si ricordano che la riforma costituzionale che ha introdotto il pareggio in bilancio è stata approvata il 18 aprile del 2012 con un parlamento partorito dalla stessa, identica legge e che non si arrivò a referendum confermativo perché, come previsto dall’articolo 138 della carta, si è superata, in doppia lettura, la maggioranza dei due terzi.

La seconda obiezione si riferisce al fatto che non si dovrebbe cambiare la costituzione a maggioranza. Ma nel 2001 e nel 2006 non si sono svolti due referendum confermativi di riforme costituzionali approvate da una maggioranza, la prima di centro-sinistra, e la seconda di centro-destra? Perché anche allora non venne avanzata analoga critica? Si trattava di modifiche minori? Oddio, il Titolo V veniva completamente stravolto in una versione da sindrome leghista e oggi siamo costretti a correggerlo. La devolution entrava nel merito delle competenze del presidente del Consiglio attribuendogli anche il potere di sciogliere le Camere. Che un referendum divida, poi, ce l’ha insegnato la regola dell’aritmetica. Divide per due: sì o no. E’ un dramma?

Veniamo al merito, lasciando perdere la legge elettorale, oggi divenuta un cantiere a cielo aperto anche su pressione nostra, contrari al ballottaggio e al premio di lista. Sul Senato si contesta innanzitutto la sua mancata elezione diretta. Eppure la legge parla decisioni regionali “in conformità con le scelte degli elettori”. Perché non si è approvata la legge per l’elezione diretta? Perché non è possibile varare una legge prima dell’esito referendario che dovrà decidere se il Senato sarà quello previsto dalla riforma o resterà quello attuale. Un’altra critica viene mossa riguardo alla sua composizione. Forza Italia ritiene infatti che si dovrebbe prendere e modello il Bundesrat tedesco ove sono rappresentati solo gli esecutivi regionali e si dimentica che la decisione di prevedere la presenza in modo proporzionale dei consiglieri di maggioranza e di opposizione è stata assunta proprio su sollecitazione degli “azzurri”, perché la sola presenza degli esecutivi ne sbilanciava l’equilibrio a favore del centro-sinistra.

Un’obiezione stravagante e ridicola é stata avanzata sul nuovo Titolo V all’articolo 117. Ecco cosa recita l’attuale primo comma, approvato dal referendum del 2001: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Oggi così dichiara il nuovo testo: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”. Lo sconvolgente stravolgimento é costituito dalla sostituzione dell’aggettivo “comunitario” con le parole “dell’Unione europea”. Si é scatenato il finimondo sulla perdita di autonomia del nostro paese e addirittura sulla strategia della finanza internazionale. Follie. Anche perché é stato il Trattato di Lisbona, noto cenacolo di criminali e di faccendieri, a modificare formalmente “i vincoli comunitari” in vincoli dell’ordinamento dell’Unione”. Attentatori alla nostra indipendenza…

Si introducono nuovi conflitti tra Camera e Senato e tra Stato e regione? Veramente singolare come obiezione. Intanto si stabilisce che una legge, una volta approvata dalla Camera, se un terzo dei senatori lo richiede, può essere discussa ed emendata dal Senato. Il tutto entro 40 giorni. La Camera ha altri venti giorni di tempo per approvare o bocciare definitivamente le proposte del Senato. Dunque, dopo l’approvazione di un testo alla Camera, al massimo ci sono sessanta giorni di tempo per la sua approvazione definitiva. Altro che il ping pong attuale. Sul rapporto Stato-regioni è semmai l’attuale Titolo V che ha generato confusione istituendo quel dannato settore delle materie concorrenti che sono state occasione di centinaia di ricorsi alla Corte costituzionale e di una sostanziale paralisi delle decisioni.

Poi ci sono le obiezioni e le assicurazioni sul dopo. Se vincerà il no potrebbe riprendere un rigoglioso cammino di riforme costituzionali, dicono. Sì, ma prodotto da chi? Da un fronte del no diviso su tutto, che mette insieme Fassina e Salvini, passando da Bersani e Berlusconi, per finire a Grillo? Che proposte saranno in grado di formulare costoro o parte di costoro assieme a un Pd battuto? E poi. Chi dovrebbe governare in attesa di nuove elezioni, magari anticipate, come chiedono Salvini, Meloni e Grillo? Un governo tecnico, magari presieduto da Grasso, un governo politico con un uomo di Renzi, l’attuale governo indebolito, acciaccato, depresso? E tutto questo chi avvantaggerebbe? D’Alema, Fassina, Bersani? Secondo me li costringerebbe alla scissione. Berlusconi, Salvini, Meloni? E assai probabile che li dividerebbe con Berlusconi disponibile a una intesa e Salvini e Meloni no. Nossignori. Avvantaggerebbe solo Grillo. Gli spianerebbe la porta del governo del Paese. Riflettete amici e compagni. Riflettete bene.

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